Un uomo
festeggia il suo 50esimo compleanno, in macchina da solo con
la sola compagnia di due musicisti di strada.
E’ tempo di tirare le somme del primo tempo di questa
sua vita, e per farlo si affida ai ricordi delle sue quattro
più importanti storie d’amore. Quattro donne,
quattro frammenti di vita, quattro modi di intendere l’amore,
quattro momenti diversi del medesimo ciclo di vita di quel
sentimento che fa da perno e funge da valore aggiunto all’esistenza
di questo elaborato animale chiamato uomo.
Vi è l’amore spensierato, giovanile e romantico
dell’innamoramento, quello delle passioni e delle vendette
amorose, quello del sesso e della passione carnale che va
a sfociare nella maturità nostalgica della riflessione.
Mohsen Makhmalbaf (Pane e fiore,
Il silenzio, Viaggio
a Kandahar) torna dietro la macchina da presa dopo
tre anni di silenzio con un’opera che come le precedenti
si contraddistingue per asciuttezza stilistica e compositiva,
arricchita in questo frangente da parentesi danzanti (il tutto
è ambientato in una vecchia scuola di danza dove passato
e presente si alternano senza alcuna soluzione di continuità)
che riempiono di luci, colori e vita il senso del racconto.
Makhmalbaf affronta, studia, analizza l’amore alternando
i quattro principali sensi (tatto, udito, vista, gusto), utilizzandoli
scientificamente come lanterne nel buio delle nostre aride
esistenze. Il risultato è la negazione dell’amore
assoluto ed eterno, troppo soggetto a circostanze particolari
e contingenti per confrontarlo con le emozioni suscitate dai
racconti della tradizione letteraria amorosa. E’ il
romanticismo il vestito buono che maschera l’amore di
quel senso di eternità, che si sveste una volta al
cospetto della realtà quotidiana.
[fabio melandri]