Il nuovo
film di Francis Ford Coppola Segreti
di famiglia ha aperto la 41esima Quinzaine des Réalisateurs
di Cannes 2009 ed è stato presentato al Torino Film
Festival, nell'ambito del quale ha ricevuto il Gran Premio
Torino per la sua casa di produzione, la American Zoetrope,
fondata una quarantina di anni fa a San Francisco insieme
ad alcuni amici fra cui il suo collega George Lucas.
Ancora una volta è la famiglia al centro della vicenda:
il diciassettenne Bennie (Alden Ehrenreich, scelto dopo il
forfait di Matt Dillon, alla sua prima apparizione cinematografica:
un mix tra DiCaprio e Brando degli esordi), arriva a Buenos
Aires, a Boca, per ritrovare l'adorato fratello Angelo (Vincent
Gallo), che dieci anni prima ha abbandonato New York e la
famiglia deciso a non avere più niente a che fare con
l'ingombrante padre Carlo (Klaus Maria Brandauer), acclamato
direttore d'orchestra. Bennie trova il fratello, che ora si
fa chiamare Tetro, e la sua compagna Miranda (Maribel Verdú),
ex psichiatra di Angelo. Il fratello scomparso oggi è
uno scrittore incompreso, che da tempo ha abbandonato la sua
passione letteraria e per sfuggire al passato lavora come
tecnico luci di un teatrino del quartiere. Tetro infatti non
vuole più parlare del passato, desidera solo dimenticare.
Ma l'arrivo del consanguineo rimetterà in moto i ricordi,
il passato che non è stato cancellato e che rivive
nelle sembianze di Bennie...
Segreti di famiglia è
il primo film dai tempi de La
conversazione
del 1974, che nasce da un soggetto scritto e sceneggiato dallo
stesso regista. Oggi, nel 2009, Coppola scrive, dirige, produce
(con la Bim di Valerio De Paolis) e negli Usa distribuisce
persino il film, scegliendo la via del basso budget: un modo
per ritrovare la libertà di un tempo.
L'ambizione e l'invidia familiare: sono i temi cardine ed
autobiografici della cinematografia coppoliana che tornano
anche in quest'ultimo film, autoprodotto, e indubbiamente
girato con maestria. Splendida la fotografia in bianco e nero
di Mihai Malaimare Jr., i colori saturi, i riferimenti a Welles.
Un omaggio al cinema del passato, alla Nouvelle Vagues a cui
si lega l'interessante idea del capovolgimento cromatico:
rendere a colori solo i flashback e le scene musicali. A prescindere
dall'indubbia maestria registica, però, colpisce il
bisogno del regista de Il Padrino,
di mettere il melò al centro della storia. Dopo un
primo tempo ineccepibile, la storia di sfilaccia: la parte
della premiazione con Carmen Maura, ad esempio, lascia un
sotteso senso di inutilità e sciatteria. Tra musiche
tratte da opere liriche e balletti estemporanei, stridono
il miscuglio tra lucidità tecnica e ampollosità
contenutistica. Purtroppo, si ha la sensazione che l'arte
del maestro stia diventando maniera.
[valentina venturi]