“Siamo
persone normali che fanno un mestiere particolare.”
Questa è la definizione di poliziotto, o sbirro, dato
da uno di loro, componente del nucleo di Unità Operativa
Criminalità Diffusa (U.O.C.D.) di Milano, protagonista
insieme ad altri 4 colleghi alla pellicola Sbirri
di Roberto Burchielli.
Una sorta di UFO nel campo cinematografico italiano, per un
film che su una struttura di finzione narrativa – Matteo
Gatti, reporter d’assalto viene colpito da un grave
lutto: la morte del figlio sedicenne per overdose –
inserisce veri e propri filmati di azione della polizia del
reparto U.O.C.D. con pedinamenti, arresti ed interrogatori.
A far da congiunzione tra questi due mondi, Raoul Bova, che
con l’autorizzazione del Ministero dell’Interno
si è camuffato ed ha vissuto per un intero mese con
il nucleo speciale di polizia partecipando alle azioni dell’antidroga,
agli arresti, agli interrogatori, che dunque sono autentici
e vissuti in presa diretta.
“Girare
Sbirri – ricorda il regista
- ha richiesto l’utilizzo d’attrezzature d’ultima
generazione che ci hanno permesso di lavorare con agilità
in azioni ad alto rischio. Tutto è stato girato in
alta definizione, con camere speciali ad altissima risoluzione,
anche a chilometri di distanza e in qualsiasi situazione di
luce. Per l’audio sono stati usati microfoni direzionali
in dotazione ai servizi segreti.
E’ stato fatto tutto il possibile per dare allo spettatore
la sensazione di essere sempre al fianco dei nostri personaggi,
vivendo in pieno tutte le loro emozioni… Una troupe
cinematografica che si è annullata completamente, diventando
una presenza impalpabile, con l’intento di registrare
fedelmente tutti gli accadimenti senza alterarli.”
Il risultato è una creatura bicefala e di difficile
interpretazione. Tanto riuscita, interessante e convincente
quando la realtà dei pedinamenti, delle indagini dei
frammenti di vita dei reali poliziotti prende il sopravvento,
quanto costruita, artefatta, inutilmente noiosa la struttura
di finzione caratterizzata da uno stile di regia dato da movimenti
continui della macchina a mano; fastidiosissimi rallenti per
esaltare i momenti di maggior carica emotiva; una recitazione
sopra le righe che se sei Marlon Brando passi… ma se
sei Raoul Bova rischi di cadere nel facile ridicolo; un commento
sonoro arrogante nelle sue entrate in scena ed ossessivamente
monotono fino alla nausea.
Quello che rimane e da salvare è l’affresco di
questi uomini e donne delle forze dell’ordine che vivono
il loro mestiere come una missione, come una passione che
1000/1200 euro al mese non riescono a spegnere. Ritratti di
persone normali… che hanno solo scelto un mestiere particolare.
[fabio melandri]