“Io
ero il vapore che si forma quando il caldo incontra il gelo.”
Così si definisce Tony, figlio di Barbara (il calore)
e Brooks (il gelo) Baekeland, erede dell’impero fondato
da Leo, mitico inventore della bakelite. Un rapporto gelido
ed assente con il padre, sin troppo caloroso ai limiti dell’incesto
con la madre, Tony è la metafora della scintillante
vita dei Baekeland, tra ambizioni sociali ed una repentina
e tragica caduta tra New York, Parigi, Cadaqués, Maiorca
e Londra, culminata con l’assassinio di Barbara ad opera
di Tony nel 1972.
“Sono rimasto colpito dalla straordinaria verità
del nucleo della storia dei Baekeland, ma ancora di più
dagli echi da tragedia classica. Mi hanno affascinato la malinconica
bellezza della vicenda, il conflitto fra eleganza e violenza.
– racconta il regista Tom Kalin, i cui video fanno parte
delle collezioni permanenti di musei come il Centre Pompidou
di Parigi ed il Museum of Modern Art di New York - Ma il terribile
epilogo del film, la morte di Barbara, è solo una parte
della sua storia. L’originalità del suo personaggio
tipicamente americano (una self-made woman degli anni ’40,
con l’istinto e l’audacia di un giocatore d’azzardo)
e la sua brillante ascesa e devastante caduta contenevano,
secondo me, tutti gli elementi di un dramma appassionante.
Ma soprattutto, sono stato attratto da questi due personaggi
profondamente fragili e imperfetti, per i quali provo in fondo
uno strano senso di lealtà e empatia. (“Non giudicare
se non vuoi annoiare il pubblico” - diceva Orson Welles).
La tragedia, com’è ovvio, è una delle
tante inevitabili vicende umane. Parafrasando una recensione
del libro ‘Savage Grace’, quella dei Baekeland
è “la storia del fallimento profondo dei più
elementari doveri dell’amore”.
Tratto dal libro omonimo di Natalie Robins e Steven ML Aronson,
costruito secondo capitoli chiusi in se stessi tendenti a
riassumere i momenti cruciali della vita della famiglia Baekeland,
mattoncini esemplificativi non di come si costruisce un mito
ma di come lo si decostruisce indagando, con un’eleganza
di stile che rende freddo ed asettico il racconto, nei gangli
tumorali psicologici che lo consumano inesorabilmente. [fabio
melandri]