Salvador
Puig Antich. Un nome che a noi italiani dice ben poco ma che
agli spagnoli è rimasto, legittimamente, impresso nella
memoria. Salvador era un giovane militante del Movimiento
Iberico de Liberaciòn, un gruppo di estrema sinistra
che all’inizio degli anni Settanta, in pieno regime
franchista, aveva messo in ginocchio la polizia con rapine
in banca atte a finanziare l’ala militare del movimento.
Rapine che erano andate tutte in porto e che avevano illuso
i giovani militanti di poter cambiare davvero le cose nel
loro Paese ma che in realtà si conclusero con l’arresto
del giovane Salvador che, dopo un processo-farsa, venne condannato
a morte e giustiziato il 2 marzo 1974 (ultima esecuzione in
Spagna con la garrota, tremenda pratica di morte usata per
i prigionieri politici ma degna della mente perversa e violenta
di “Saw –l’enigmista” e non di un
governo europeo universalmente riconosciuto e accettato).
Salvador – 26 anni contro
dello spagnolo Manuel Huerga, autore di documentari e regista
televisivo con la passione per l’arte (non solo figurativa),
qui al suo secondo lungometraggio dopo Antàrtida
del 1995 da noi inedito, ripercorre i momenti immediatamente
precedenti alla cattura di questo giovane militante antifranchista
e si sofferma sulla sua triste prigionia e sul disperato tentativo
delle sue amate sorelle di evitargli la condanna a morte.
Siamo agli inizi degli anni Settanta. Anni bui e tremendi
che una nazione così all’avanguardia come la
Spagna di oggi vorrebbe senza dubbio cancellare ma che forse
un film come questo fa bene invece a ricordare. Anni in cui
solo un manipolo di giovani “ribelli” cercava
in ogni modo di opporsi alla dittatura franchista giungendo
anche a sacrificare la propria vita pur di salvaguardare il
bene del proprio Paese e della propria gente. Salvador diventa
il capro espiatorio dell’ordine precostituito (durante
la sua cattura viene ucciso in un conflitto a fuoco un ispettore
di polizia e durante la sua prigionia l’ETA uccide il
capo del governo franchista). Ma diventa anche il paladino
della lotta per la libertà (“un ribelle con causa”)
ergendosi a simbolo di tutta una generazione che forse avrebbe
potuto fare di più per evitare un’esecuzione
tanto terribile quanto inutile e per affrancarsi più
velocemente (e coscientemente) dalla dittatura franchista.
I toni sono quelli del documentario (politico), tanto caro
al regista iberico, ritmo lento e fotografia scura come nei
vecchi reportage televisivi, un po’ troppa freddezza
nell’esplorazione dei caratteri (viene fuori poco del
carisma di Salvador e dei suoi compagni come della “vera”
situazione politica di quei tempi) ma vigoroso atto d’accusa
contro la pena di morte e contro un ben più ampio “ordine”
prestabilito che ancora oggi fa fatica ad accettare le proprie
responsabilità di fronte alla storia.
Il film ha fatto incetta di premi un po’ovunque ed è
stato presentato a vari festival tra cui Cannes nel 2006 nella
sezione “Un certain regard” e Courmayeur Noir
in Festival in concorso. [marco
catola]
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