“Hai
5 sensi Mirco, perché ne vuoi usare solo uno?”
E’ il consiglio che Don Giulio (Paolo Sassanelli) maestro
all’Istituto per non vedenti David Chiassone di Genova
elargisce a Mirco, appena entrato a causa di un incidente
con il fucile paterno. Ispirato alla storia vera di Mirco
Mencacci stimato tecnico del suono (sound design) del cinema
italiano (La finestra di fronte,
La meglio gioventù) rimasto
privo di vista all’età di 8 anni e film evento
della prossima Festa del cinema di Roma, sezione Alice nella
città. Realizzato grazie tra l’altro al contributo
dell’Unione Italiana Ciechi, dell’Associazione
Genitori Bambini Non Vedenti e dello stesso Istituto Chiassone
di Genova per la composizione del cast dei bambini protagonisti
e realmente “non vedenti”.
Mirco è un ragazzo timido e la sua entrata nella nuova
dimensione è traumatica. La lontananza da casa (da
Pisa a Genova), il distacco dai genitori a cui è molto
legato, l’ostilità di alcuni nuovi compagni e
la severità del direttore dell’Istituto non aiutano
ad accettare la sua nuova condizione. Poi grazie alla vicinanza
di un nuovo amico, Felice, dell’amicizia di una ragazzina
vedente, dell’aiuto e sostegno di Don Giulio e di un
vecchio registratore a bobine, Mirco inizia a costruirsi un
suo nuovo mondo fatto di suoni, voci e vivida immaginazione;
nulla di nuovo per lui appassionato di cinema, ma ora il tutto
assume un nuovo spessore.
Un mondo nel quale a poco a poco coinvolge i suoi nuovi amici,
anche i più ostili, inventando favole sonore fatte
di draghi, principesse da salvare, cavalieri erranti e mostruose
creature.
Rosso come il cielo ha tutti i crismi della favola morale
che esula dalla condizione dei suoi protagonisti: ognuno nasce
con le proprie difficoltà, la cosa importante nella
vita è vivere con intensità senza rinunciare
mai ad affermare la propria identità e presunta ‘normalità’.
Cristiano Bortone, regista e produttore (Saimir)
cresciuto negli Stati Uniti alla New York University ed alla
University of Southern California, sceglie un tono favolistica
per raccontare la piccola odissea di Mirco, proprio per uscire
dalla contingenza della storia vera e farle assumere il vestito
di quella universale. Riesce a toccare le corde delle emozioni
senza strafare con perizia ed un pizzico, a nostro giudizio,
di furbizia soprattutto nel finale in cui a molti è
difficile trattenere le lacrime. [fabio
melandri]