Red Eye
id.
Regia
Wes Craven
Sceneggiatura
Carl Ellsworth
Fotografia
Robert Yeoman
Montaggio
Patrick Lussier, Stuart Levy
Musica
Marco Beltrami
Interpreti
Rachel McAdams, Cillian Murphy, Brian Cox, Jayma Mays, Jack Scalia
Anno
2005
Durata
85'
Nazione
USA
Genere
thriller
Distribuzione
UIP
Wes Craven, regista de’ paura abbandona per la seconda volta, dopo La musica del cuore, le strade familiari dell’horror per frequentare quelle del thriller ad alta tensione.
Nasce così il progetto di Red Eye, il primo di una serie di thriller ambientati a 9000 metri da terra, seguirà a poco Flightplan con il ritorno sul grande schermo di Jodie Foster, un dramma a due stretto nel claustrofobico spazio della carlinga di un Boeing 767 in volo da Dallas a Miami.
Qui Lisa Reisert (Rachel McAdams – Due Single a nozze), ragazza in carriera tutta casa e lavoro con un dramma tragico alle spalle, incontra Jackson (Cillian Murphy – Batman Begins) uomo d’affari misterioso, affascinante e... pericoloso. Il loro incontro al terminal di partenza sembra così casuale e naturale che Lisa non sospetta minimamente della vera natura dell’uomo, che si rivela solamente una volta in volo, prigioniera delle sue paure e di un individuo che sembra sapere molte cose sul suo conto. Inizia un gioco delle parti, fatti di pressioni psicologiche, costrizioni fisiche che grazie ad una regia sapiente e ad un montaggio emozionale, tiene lo spettatore inchiodato sulla poltrona.
Wes Craven riesce a dare il meglio di se quando si muove in spazi chiusi: la cabina dell’aereo, con pochi e funzionali movimenti di macchina ed espressivi primissimi piani; la casa paterna in cui si gioca il duello finale, in cui memore della sequenza d’apertura capolavoro di Scream, nella costruzione dell’inseguimento tra gatto e topo, vittima e carnefice, gioca con le aspettative del pubblico, disilludendole e confermandole a proprio piacimento ma con una tensione che rimane comunque sempre alta.
Detto questo, il film è godibile nella parte centrale, quella ambientata sull’aereo, mentre l’incipit non è supportato da dialoghi all’altezza della situazione mentre il finale scivola via, nonostante la buona costruzione visiva del duello di cui detto, in una medietà deludente.
Come nel precedente Cursed – Il maleficio, Craven dimostra di avere ancora una buona mano, ma non è supportato da sceneggiatori alla sua altezza, capaci di esaltare l’indubbio ed ancora vivo talento del professore di filosofia di Cleveland.
[fabio melandri]