I topolini hanno sempre funzionato nei cartoni animati. Lo
sapeva Walt Disney che su Mickey Mouse ha fondato il suo impero
e lo sanno i geni della Pixar che su un piccolo roditore dall’olfatto
miracoloso hanno creato il loro ultimo capolavoro Ratatouille,
dal nome del piatto povero con cui il simpatico animaletto
conquisterà le vette dell’alta cucina parigina.
Ratatouille è una fantasmagoria,
è spettacolo allo stato puro, è un concentrato
di temi e motivi profondi sia sul piano etico che su quello
più squisitamente espressivo, che si combinano senza
soluzione di continuità per quasi due ore.
Da Toy Story in poi, la squadra
autori della Pixar ha abbandonato come fonte di ispirazione
per i loro film i classici dell’infanzia come le fiabe
di Perrault o le leggende medievali per inventare di sana
pianta soggetti originali che avessero presa nell’immaginario
collettivo mondiale così come ce le avevano Biancaneve
o Cenerentola. La trama è semplice e immediata fin
dalla sua story line.
Remy topo di campagna dal naso eccezionale si ritrova a Parigi
per diventare l’erede di Gousteau, il più grande
cuoco di Francia e di tutti i tempi, colpito da un infarto
dopo l’ennesima stroncatura del suo acerrimo nemico,
il critico Anton Ego. Come ogni favola anche Ratatouille
è costruito sugli opposti, sulle simmetrie, sugli equivoci
e sulle coincidenze. Caso e necessità, destino e fatalità.
Le fortune della scalata sociale racchiuse nello sguardo furbetto
e smaliziato di un topino dal naso grande (come non paragonarlo
all'illustre precedente, al naso più importante di
Francia e cioè Cyrano de Bergerac?) e dal cuore grande.
Il topo è il simbolo della sporcizia, è l'animale
che si nutre nell'immondizia, è tutto ciò che
più distante si possa concepire dal mondo scintillante
dell'alta cucina. Remy viene incaricato dalla sua famiglia
per distinguere il cibo buono da quello avvelenato. Nel prologo
i topi rubano in casa di una vecchia, nonostante Remy si dimostri
assolutamente contrario. Remy ammira gli uomini e obbedisce
ad una regola, non si deve sottrarre ciò che non è
tuo agli altri. I topi si devono elevare, devono avere rispetto
per se stessi, per il cibo e gli esseri umani. Nessuno gli
dà retta, è un discorso troppo astratto e complicato.
I topi devono sopravvivere e per sopravvivere fanno quello
che la natura e le convenzioni millenarie gli dettano. Rubare.
Per andare contro a tutto questo e per dimostrare le sue ragioni,
Remy affronterà un percorso al termine del quale lo
vedrà prevedibilmente trionfatore. Un percorso elaborato,
assolutamente non macchinoso, ma stratificato su più
livelli, una vertigine di scatole cinesi in cui ci si perde
e ci si abbandona con enorme entusiasmo. Sbarcato a Parigi,
con il morale a terra, senza una casa e con mille pensieri,
Remy si imbatte nel suo alter ego umano. Un ragazzino di origini
italiane, figlio illegittimo del grande Gousteau. I due diventeranno
inseparabili e in simbiosi realizzeranno i loro scopi.
Lo stratagemma su cui il garzone di bottega e il topino di
campagna si uniranno è magistrale ed è da manuale
di cinema. Metafora di Pinocchio, Remy guiderà il suo
burattino provocando gag e disastri a catena. L'unico punto
negativo viene risolto in un punto a favore. Non esiste un
vero antagonista. Sono tre le figure in cui si incarna l'antagonista
per ogni sequenza, ma nessuno che si opponga ai protagonisti
durante l'intero arco narrativo. Senza soffermarci sulla trama,
l'assenza di un antagonista concreto significa una trasformazione
profonda del genere cinematografico. Il passaggio da un antagonista
esterno a uno interno che apre a problematiche altamente morali,
come dicevamo. Non esiste peggior nemico di ciò che
nascondiamo dentro di noi. Remy e il suo compare devono affrontare
le reciproche paure per superare i diversi ostacoli che gli
si frappongono durante il cammino. Assolvendo così
al compito didattico di ogni favola che si rispetti. Ratatouille
è un cartone animato educativo e molto maturo che richiede
un pubblico molto attento e concede poco al divertimento dei
precedenti della Pixar come Alla ricerca
di Nemo o Toy Story.
[matteo cafiero]