Una folla
di giovani tra canti, balli e girotondi manifesta contro la
guerra. Ci sono hippy, figli di fiori, studenti universitari,
con immagini multicolori dipinte su tutto il corpo e palloncini
variopinti che si alzano in un cielo azzurro terso. Non siamo
su un prato verde davanti la Casa Bianca come in Hair,
ma nel centro di Roma a Piazza del Popolo, primi Anni Settanta.
Inizia così con un omaggio al musical di Milos Forman,
che durante il film ritorna più e più volte
tra omaggio/ispirazione/plagio, Questo
piccolo grande amore di Riccardo Donna. Non è
un musical, non è un musicarello. E’ una commedia
adolescenziale basta sull’omonimo album di Claudio Baglioni
del 1972, con nuovi arrangiamenti che però mantengono
le tipiche sonorità dell’album originale. Così
canzoni come Piazza del Popolo, Una faccia pulita, Battibecco,
Con tutto l'amore che posso, Che begli amici!..., Mia libertà,
La prima volta, Quel giorno, Io ti prendo come mia sposa,
Cartolina rosa, Questo piccolo grande amore, Porta Portese,
Quanto ti voglio, Sembra il primo giorno, Con tutto l'amore
che posso fungono di volta in volta da struttura narrativa,
dialoghi, colonna sonora e commento alla storia d’amore
tra Andrea, borgataro di Centocelle aspirante architetto e
Giulia, diciassettenne parolina all’ultimo anno di liceo
classico.
La loro è una storia d’amore assoluta, di quelle
che toglie il fiato, che annebbia la mente; un amore di quelli
che andrebbero vissuti almeno una volta nella vita. Ma un
amore così eccezionale viene raccontato e messo in
scena in maniera assolutamente convenzionale, prevedibile
senza grandi invenzioni sia dal punto di vista narrativo che
da quello della messa in scena. In un paio di occasioni il
regista Riccardo Donna, un importante passato e presente televisivo,
prova a dare spessore ed emozione al racconto attraverso scarti
sul terreno del surreale come il matrimonio hippy e le proiezioni
metacinematografiche sulle mura sgarruppate di Centocelle.
Ma il tutto sa di già visto e riciclato, appesantito
dagli sguardi languidi in primissimi piani della giovane coppia
di protagonisti, Emanuele Bosi, fotocopia scamarcina di 3MSC
e Mary Petruolo, acerba interprete qui al suo debutto sul
grande schermo.
Un film incentrato sulla coppia di protagonisti tanto da trascurare
quello che poteva essere il punto di forza della pellicola:
la rappresentazione d’ambiente. I personaggi di contorno
sono puramente decorativi e stereotipati, mentre Roma, che
potrebbe/dovrebbe assumere lo status di personaggio della
vicenda, rimane una fredda ed agiografica quinta scenica.
Così l'unica invenzione che rimane in mente è
la sequenza del primo bacio sulle rive del Tevere, dove entrano
in scena silenziosi tangheri che fanno da corona e cornice
a quel “bacio a labbra salate…” Per un film
che vorrebbe raccontare la madre di tutte le storie d'amore,
è un po’ poco. [fabio
melandri]