Se pensiamo
di andare al cinema senza prepararci sull’argomento
rischiamo come il vecchio di esalare l’ultimo respiro
dopo esserci resi conto che in questo film non si parla, non
si ride, non si piange e l’unico sussulto che si avverte,
in una sala pregna di suoni campestri, è causato dall’urto
di un motocarro contro un cancello.
Un vecchio
pastore, una capra, un abete ed il carbone sono i protagonisti
di questa vicenda che altro non è, in un giro di ruota,
un compendio sintetico della vita sulla terra.
Il regista, espone in una poetica allegoria il pensiero pitagorico
citando con le immagini la metempsicosi, ovvero la trasmigrazione
dell’Anima attraverso il respiro, in altri corpi viventi,
e le quattro vite distinte presenti in noi, Uomo, Animale,
Vegetale e Minerale. Ma non possono essere trascurati in questo
caso i Filosofi di Mileto, ed in particolare il naturalista
Anassimandro, dai quali proviene parte del pensiero pitagorico.
Alla base della loro filosofia c’era l’Archè,
il principio di tutte le cose che Pitagora identificava nei
numeri e Anassimandro nell’ Apeiron, una materia infinita
ed indistruttibile che governa il mondo, producendolo, trasformandolo
e riportandolo poi a se, nella sua forma d’origine.
Così un vecchio, al quale fanno da sfondo le capre,
si muove nella natura come natura stessa. Come le capre. Sul
di lui morente la telecamera si sofferma a lungo, quanto basta
per percepire quel volo dell’Anima durante l’abbandono
dell’ormai claudicante corpo. Il vecchio espira, l’
Apeiron vivo, cosciente e intenzionale, richiama l’Anima
a se, e proprio in quel momento giunge una capra al mondo.
La telecamera ci mostra il parto, il nuovo protagonista entra
in scena con un esile belato che gli ficca l’aria nei
bronchi, la metempsicosi compie il suo dovere e l’umano
lascia il campo, rappresentato ormai esclusivamente con una
telecamera fissa che lo ritrae parte integrante di un intero
paesaggio. La capra si muove nella natura con le altre capre
ed in lei si perde, anche se “perdersi” può
sembrare in questo caso un termine improprio. In seno a Madre
Natura la capretta si accovaccia ai piedi di un Abete e passa
la stagione e nevica e soffiano il vento e l'aria. Per Anassimene,
anch’egli filoso di Mileto, “l’Aria è
il respiro del Mondo” e in balia sua fluttua il grande
Abete, il Vegetale, fino a quando non sarà abbattuto
e trasformato, con un procedimento antichissimo, in carbone.
Il ciclo si conclude con la consegna del Carbone nelle case
del paese. Da qui l’idea del titolo Le
Quattro Volte.
Pur non trovando accenni in merito da parte del regista, può
essere interessante sapere che, secondo alcuni studiosi, l’etimologia
della parola Apeiron (dal greco a péras “senza
limite”) deriva in realtà dal semitico e significa
Polvere, Terra. Così scorgiamo il vecchio che per sfuggire
alla morte espia le colpe bevendo sciolta nell’acqua
la polvere della Chiesa, un’ antica credenza diffusa
in Calabria dove sorgeva una delle scuole Pitagoriche più
importanti e che sembra coincidere con l’idea Pitagorica
che la metempsicosi sia la condanna dell'Anima per purificarsi
da una colpa originaria.
In un
clima in cui l’Italia da Cannes ne esce così
: “Le gouvernement de Silvio Berlusconi boycotte le
Festival de Cannes” (France 24) e dove con l’umorismo
di una Guzzanti fuori concorso con Draquila
e il ritratto realista de La nostra
Vita di Luchetti, ha intenerito i media francesi, Frammartino
torna alle origini, ci protegge dalla storia e dalla società
mostrandoci un paese della Calabria in tutta la sua semplicità
e senza descrivere le condizioni di vita miserabile, esalta
la natura nella sua interezza, con i suoi cicli stagionali,
il lavoro semplice, la vita metodica, portando alla luce il
mondo invisibile nel quale siamo inconsapevolmente immersi
e che il regista ci fa ascoltare dal suo interno, con un ricorrente
schermo nero ed un rumore sordo, come fossimo oramai disciolti
in esso.
Credere che io abbia voluto svelare i “colpi di scena”
del film sarebbe come pensare di aver capito una poesia leggendone
il commento.
[silvia
langiano]