Non passerà
alla storia l'opera del giovane Olatunde Osunsanmi. Il quarto
tipo è un film con molte pretese, che però non
vengono mantenute. Il regista vuole, e lo dichiara fin dai
titoli di testa, instillare nello spettatore il dubbio sull'esistenza
di intelligenze aliene che operano sul nostro pianeta. Il
quarto tipo infatti non è altro che il tipo di “contatto”
alieno. Il primo consiste nel semplice avvistamento, il secondo
nell'avvistamento con prove documentali, il terzo è
il contatto diretto, il quarto è il rapimento o l'adduzione.
Tutto il progetto del film si basa sulla testimonianza vera
(anche se noi nutriamo parecchi dubbi in proposito) di una
psicologa americana, la dottoressa Abigail Tyler, testimone
prima e protagonista poi di fenomeni di adduzione.
L'idea de Il quarto tipo nasce
nell’ottobre del 2004 quando il regista Olatunde Osunsanmi,
trasferito in North Carolina per la post produzione del suo
thriller The Cavern, ascoltò
il racconto di un collega sulla vicenda della dottoressa Tyler.
Attraverso il suo contatto, il regista riuscì a incontrare
la dottoressa che, dopo qualche esitazione, accettò
di raccontare la sua storia. Nell’autunno del 2000,
i pazienti della terapista, sotto ipnosi, avevano mostrato
comportamenti che suggerivano incontri con alieni. Prima di
addormentarsi, tutti ricordavano di aver visto un gufo bianco
fuori dalla finestra. Si svegliavano paralizzati e udivano
rumori orribili oltre la porta, prima che un assalitore sconosciuto
li spingesse urlanti fuori dalla stanza. Ma poi non ricordavano
più nulla. Quando la psicologa iniziò a indagare
sul fenomeno, scoprì diverse storie di persone scomparse
e strani accadimenti nella regione (una lontana città
sul Mare di Bering in Alaska), che risalivano agli anni ‘60.
Nel corso del film si alternano continuamente scene interpretate
dagli attori con filmati e registrazioni prodotti (?) dalla
dottoressa Tyler. L'intento è evidentemente quello
di rendere (così come annuncia una per niente impeccabile
Milla Jovovich nella prima scena della pellicola) il film
quanto più credibile possibile, senza centrare però
l'obiettivo.
Il film risulta lento e macchinoso nel suo svolgere, le prove
degli attori (fatta eccezione per l'ottimo Elias Koteas) sono
prive dell'intensità necessaria. La protagonista offre
un'interpretazione accettabile solo alla luce della pochezza
del personaggio interpretato, perso tra paranoie ed allucinazioni.
Il regista offre una prova dilettantesca sia nella gestione
del film che nella stesura della sceneggiatura, rendendo l'intero
progetto poco digeribile e per niente appassionante. Le carenze
narrative sono evidenti, nonostante il materiale su cui lavorare
non manchi, così come una cospicua letteratura sul
tema cui ispirarsi. L'espediente del docudrama non fa altro
che rendere alcuni momenti del film grotteschi se non addirittura
fastidiosi. Un thriller privo di pathos, un documentario privo
di prove credibili, un film di fantascienza privo di effetti
speciali degni di questo nome. Come ci si vuole approcciare
alla pellicola il risultato non cambia: 96 minuti deludenti
sotto ogni punto di vista. [andrea
de angelis]