Quando l'amore brucia l'anima
Walk the Line
Regia
James Mangold
Sceneggiatura
Gill Dennis, James Mangold
Fotografia
Phedon Papamichael
Montaggio
Michael McCusker
Musica
T Bone Burnett
Interpreti
Joaquin Phoenix, Reese Witherspoon, Ginnifer Goodwin, Robert Patrick, Dallas Roberts, Dan John Miller, Larry Bagby, Shelby Lynne
Anno
2005
Durata
136'
Nazione
USA
Genere
drammatico
Distribuzione
20th Century Fox
“‘I Walk the Line’ passò per tutta l’estate alla radio ed era diversa da tutto quello che si era sentito prima. Sembrava che ci fosse una voce proveniente dal centro della terra... Era profonda, così come la sua tonalità, ogni frase era profonda e ricca, meravigliosa e misteriosa contemporaneamente... Lui rappresenta veramente quello che sono questa terra e questa nazione, ne è il cuore e l’anima personificati”. Queste le parole di Bob Dylan a ricordo della canzone che da il titolo alla biopic di Johnny Cash, icona della musica popolare americana, il Man in Black compagno di gioventù di talenti quali Jerry Lee Lewis, Roy Orbison ed Elvis Presley.
Dotato di una voce naturale calda e profonda, animale da palcoscenico capace di miscelare in un sound originale e avvolgente folk, country con tonalità di blues sporco come quello del profondo Sud degli Stati Uniti, Johnny Cash figlio di un mezzadro dell’Arkansas durante la Grande Depressione, coltiva il suo orecchio musicale ascoltando di nascosto dal severo e conflittuale padre la radio e mandando a memoria i canti gospel della madre.
Morte, amore, inganno, peccato, speranza e fede sono i temi dominati della vita di Cash, che vengono poi traslati con echi più o meno accentuati nei testi e nelle sonorità delle sue canzoni. “E’ affascinante vedere quanto le canzoni che John ha scritto in quel momento avessero a che fare con quello che viveva all’epoca. Descrivono un’intensa storia personale, qualche volta in maniera indiretta, ma comunque sempre in maniera molto rivelatrice…” afferma il regista Mangold. E proprio questo punto di vista, questo continuo innesto di vita reale in quella artistica l’elemento più originale di un film che mantiene tutti i passaggi obbligati di ogni vita eccezionale, fatte di rapide ascese e repentine cadute, di dipendenze da alcolismo e droghe, di rapporti conflittuali e mai definitivamente risolti con il padre-padrone e relazioni edipiche con la madre.
James Mangold (Dolly’s Restaurant, Copland, Identità) è uno di quei registi che tendono a scomparire dietro le storie ed i personaggi che racconta, ma il cui peso specifico nell’economia di un film emerge nella capacità di evocazione di atmosfere ed ambienti e nella naturale inclinazione alla direzione di attori, che sotto le sue indicazioni sono capaci di prestazioni eccellenti venate di inusuale sensibilità come Stallone in Copland o la qui rivelazione Reese Witherspoon (candidata all’Oscar per il ruolo). Nel complesso un’opera che si pone un gradino sopra i biopic visti recentemente sul grande schermo, con una sequenza iniziale ambientata nella prigione di Folsom in occasione del concerto che tenne nel 1968 di grande impatto emotivo ed evocativo per poi imboccare la strada di una normalità espositiva impreziosita da interpretazioni di rara aderenza fisica e psicologica ai personaggi da parte di tutto il cast con note di merito alla già citata Reese Witherspoon ed al sempre più convincente Joaquin Phoenix. [fabio melandri]

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