Da
alcuni anni a questa parte gli horror giapponesi hanno catturato
l’attenzione del pubblico occidentale ed il loro successo
in festival di settore hanno “causato” il loro
rifacimento adattando gusti e stilemi occidentali a tematiche
e contenuti prettamente orientali, creando un corto-circuito
artistico ed immaginifico di cui a distanza di alcuni anni
ne subiamo ancora le conseguenze. Conseguenze tramutatesi
in rifacimenti senza sosta, a ritmo industriale prosciugando
in brevissimo tempo la linfa drammaturgia del genere. A questo
ha contribuito non poco un certo manierismo contenutistico
ed estetico che ha inquinato la falda orientale prima e gli
inevitabili remake occidentali. Il successo dell’horror
introspettivo orientale, dove la paura e l’orrore nasce
più all’interno di se stessi che non al proprio
esterno, come accade spesso e volentieri nel cinema americano
con il proliferare di serial killer ed affini, ha finito con
il portare, come il mare con le sue maree, nelle nostre sale
cinematografiche anche scarti, relitti cinematografici di
scarso valore ma dall’ipotetico potenziale economico
significativo.
Ora dopo i vari The Ring, The
Grudge e The Call è
la volta di Pulse, rifacimento
americano di un horror giapponese targato 2001, scritto e
diretto da Kiyoshi Kurosawa ed uscito alla chetichella in
alcune sale del nostro paese in questa afosa fine estate,
Kairo. Qui un gruppo di adolescenti
investiga su una serie di suicidi che attraverso una webcam
su Internet promette ai visitatori la possibilità di
interagire con i morti. La sceneggiatura è stata affidata
per la sua rielaborazione a Wes Craven, maestro - un po’
appannato - de paura, con l’intento di renderlo più
corposo e agghiaccinate dell’originale introducendo
riferimenti ai pericoli latenti del nostro stile di vita tecnologico.
Dopo il suicidio del suo amico Josh, la giovane studentessa
Mattie è decisa a capirne le cause. Insieme ad alcuni
altri studenti scopre che Josh aveva inconsapevolmente piratato
una strana frequenza senza fili aprendo così un “portale”
ad un’entità malvagia, che si propaga come un
virus telematico a grandissima velocità e con effetti
mortali su chiunque ne venga toccato. L’unica cosa che
sembra tenere lontano questo intangibile ed impalpabile male
è del nastro adesivo rosso. Presto nel campus s’incominciano
a vedere sempre più porte e finestre bloccate dal nastro
rosso e per Mattie e i suoi amici incomincia una corsa contro
il tempo per trovare un modo di porre fine alla letale minaccia
soprannaturale…
Affidando le sorti del film al debuttante regista di spot
Jim Sonzero ed a due noti volti del serial tv americano Kristen
Bell (Veronica Mars, Deadwood)
e Ian Somerhalder (Lost), Pulse
delude fortemente le aspettative che l’ottimo trailer
americano in circolazione aveva suscitato. Dal punto di vista
di scrittura, ci sono evidenti buchi drammaturgici, che spingono
lo spettatore a colmare con il proprio ragionamento o fantasia,
e dialoghi talmente accessori, leggi banali ed inutili, da
essere inseriti giusto per evitare di produrre il primo film
muto dell’era contemporanea. Dal punto di vista visivo,
le elegante immagini di deriva pubblicitaria, non salvano
l’assoluta mancanza di suspence, emozione e paura. Sonzero,
attraverso la sua regia, riesce nel non facile obiettivo di
de-potenziare ogni spunto orrorifico ed emotivo del film,
attraverso una messa in scena tanto di maniera quanto noiosa.
[fabio melandri]