Unico italiano
in concorso a Berlino, Provincia Meccanica
di Stefano Mordini, al debutto nel lungometraggio ma autore e produttore
di documentari, è un dramma familiare improntato su una recitazione
sofferta e convincente (soprattutto di Stefano Accorsi, finalmente
pienamente credibile) ed una prospettiva di assoluto straniamento
rispetto agli eventi rappresentati. La mdp osserva distaccata, come
spettatrice la storia di Silvia (Valentina Cervi) e Marco (Stefano
Accorsi), due individui “fuori dal mondo” regolato da
leggi ed istituzioni, che si costruiscono un loro microcosmo chiuso
ed ovattato all’esterno in cui si sentono sicuri e protetti.
Ma le spinte esterne (l’assistente sociale, i genitori di lei,
il collega operaio) spingono fino a penetrare in questo limbo artificiale
ed a rompere il suo precario equilibrio. Un film che, a detta del
regista, decide di non scegliere un punto di vista, che racconta in
maniera il più possibile analitica una situazione lasciando
poi allo spettatore ogni giudizio e riflessione; una sorta di opera
aperta.
Tralasciando alcune forzature di sceneggiature, il film punta al bersaglio
grosso, ad una rappresentazione di uno stato di disagio e malessere
che non è solo individuale ma collettivo, soprattutto sociale
che poi si ripercuote sulla persona. Una provincia descritta più
che per ambienti e paesaggi, per modi di fare e di pensare, forme
di comportamento che non percepiamo alla loro origine ma negli effetti;
una provincia che sebbene ambientata a Ravenna, potrebbe essere ovunque
e in nessun posto; meccanica, come i ruoli che la società assegna
e l’individuo recita sempre e comunque. Il non rispetto del
copione porta alla feroce e spietata reazione.
Nel surreale finale della corsa notturna, Marco, per tutto il film
fermo sulle proprie posizioni e convincimenti, inizia a correre, inseguendo
Silvia che si è finalmente fermata ad osservare, osservare
la propria disgregata famiglia e la propria vita da ricostruire con
infinita pazienza. [fabio melandri]