A partire
da uno spunto provocatorio, “Avete mai visto un uomo
di colore sciare sulla neve?”, Lucien Jean Baptiste
star televisiva e cinematografica francese, per l’esordio
alla regia con cui ha ottenuto una nomination ai Cesar, attinge
ai ricordi di infanzia, quando la madre di origini antillane
organizzò una vacanza per i sei figli nelle Alpi negli
anni sessanta. Il regista nell’adattamento però
ha trasferito la vicenda negli anni ottanta adottando come
punto di vista quello di un padre imbranato e viziato che
non è mai veramente diventato adulto.
Jejè non ha un lavoro ma ha una splendida famiglia,
tutto merito della moglie Suzy, che ha saputo educare i ragazzi
ed è stata capace di contenere gli eccessi del marito
scansafatiche, che appena ha due euro in tasca li spende alle
corse dei cavalli. In più Jejè è pigro
e passa il tempo con gli amici al bar, trascurando doveri
e impegni che Suzy faticosamente gli rimedia, come il fatidico
concorso alle poste, vero riscatto sociale per un’intera
generazione di immigrati dalle isole caraibiche. Ma il vero
talento di Jejè che di volta in volta è pregio
e difetto, è la parlantina, travolgente e contagiosa
con cui arruffiana il suo pubblico e con cui riesce ad apparire
meglio di quello che è. Finché questa parlantina
non lo tradisce e diventa un’arma contro se stesso.
A forza di spararla grossa, Jejè rimane ostaggio delle
sue stesse bugie che non può mantenere e per non soccombere
sotto le minacce di separazione della moglie, pianifica l’avventura
più folle della sua vita, portare i tre figli a sciare
sulla neve. Ben presto nel quartiere la voce circola fino
a diventare una barzelletta, tra chi non ha fiducia che possa
rimediare quasi duemila euro per la spedizione e chi addirittura
ne fa una questione razziale, ma tutti alla fine vengono conquistati
dall’idealismo di Jejè il sognatore, degno erede
della tradizione dell’eroe alla Frank Capra e che ha
pochi epigoni a dir la verità nella commedia francese.
Contro ogni aspettativa scatta la catena di solidarietà
e l’intero circondario si mobilita per aiutare la famiglia
sgangherata, prestandogli scarponi, sci e tutta l’attrezzatura
fino ad una pacchiana automobile sportiva più adatta
alle piste sull’asfalto che a quelle sulla neve. Ma
il punto di forza del film è la madre di Jean Gabriel,
interpretata da una Firmine Richard strepitosa a cui il protagonista
si affida per tirarsi fuori dai guai. Una madre molto lontana
dagli stereotipi della mamma premurosa e mediterranea a cui
siamo abituati in Italia e che sempre più a lungo si
sostituisce ai figli in tutto e per tutto anche oltre la maggiore
età. Qui la signora antillana cresciuta con il mito
di De Gaulle rappresenta il giusto contraltare ad un figlio
irresponsabile e senza giudizio e forse i pezzi più
gustosi sono gli scambi dialettici tra i due protagonisti,
anche se come da copione si finisce per sostenere e tifare
per Jejè nell’impresa che fin dall’inizio
si rivela oltre le sue possibilità.
Commedia calibrata e intelligente “Le
premiere etoile”, che deve il suo titolo alla
medaglia che assegnano agli sciatori in erba, ha un ritmo
diseguale, che carbura in maniera molto lenta, con un prologo
che non ha nella sintesi la sua qualità migliore, ma
che nella seconda parte trova gli spunti più originali
e divertenti. Nella descrizione di una famiglia antillana
a metà strada tra l’archetipo irriverente dei
Simpson e quella dei cinepanettoni nostrani, il film non ha
l’indulgenza e la compiacenza per la volgarità
di De Sica e Boldi, ma nemmeno la trasgressione surreale dei
cittadini di Springfield.
Resta una commedia stagionale per famiglie, sincera e positiva
che scivola via, come i personaggi che si sbizzarriscono in
prevedibili gag sulla neve, ed è la risposta migliore
a quello che il mercato oggi chiede in tempi di crisi. È
un’opera che sa regalare un sorriso, senza apparire
dissacrante né tantomeno scoppiettante. Il contrasto
di colore tra il nero della pelle dei protagonisti e il bianco
delle Alpi, è la scintilla che accende il motore della
vicenda ma che poi si stempera in una lezioncina universale
e moraleggiante su come diventare adulti e imparare ad educare
una famiglia, senza tradire la propria natura.
[matteo cafiero]