In un
mondo dominato dalla contrattazione e dal “vil”
denaro, si aggira un giovane ragazzo, di professione strozzino,
che a chi impossibilitato a pagare gli altissimi interessi
(1000%) frantuma arti, rende inabili al lavoro per riscuoterne
l'assicurazione infortuni.
Una vita monotona e asettica dominata da masturbazioni, violenza
e solitudine, fino a quando una donna, che sostiene essere
la madre che lo abbandonò appena nato, non gli si frappone
generando un inaspettato cambiamento di rotta, facendo riscoprire
nel giovine un sentimento a lui sconosciuto: la pietà.
Sentimento che nell'accezione contemporanea induce l'uomo
ad amare e rispettare il prossimo, ma che negli antichi era
intesa come devozione religiosa, il sentimento d'amore patriottico
e di rispetto verso la famiglia. Ed è proprio questo
ultimo aspetto che si cala perfettamente, come un vestito
su misura, nel mondo illustrato da Kim Ki-duk, vincitore del
Leone d'Oro all'ultima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica
di Venezia.
Un film costruito su rapporti familiari consolidati (rappresentati
dai creditori) strutturati su un rapporto binario (uomo-donna,
madre-figlio, marito-moglie) a cui si contrappone quello in
fieri dello strozzino e della madre giocato prima sul sentimento
di odio, rancore, violenza (con una scena di incesto psicologicamente
e cinematograficamente molto forte, anche se Kim Ki-duk ci
ha abituato a immagini molto più impressionanti) per
far poi emergere quel sentimento di Pietà
da cui la pellicola trae titolo.
Nella messa in scena fredda, distaccata, quasi un'occhiata
antropologica e documentaristica al mondo in cui si muovono
gli attanti, Kim Ki-duk punta più sulla riflessione
che non all'emozione della costruzione del rapporto filiare
(in contrasto con il meraviglioso
Ferro3, altro film premiato a Venezia per
la regia nel 2004) ribaltando carte, prospettive, significanti
nel finale dell'opera.
Un film che nell'immediato spiazza e colpisce a livello psicologico
più che emotivo, ma che va lasciato sedimentare, affinchè
la sostanza che lo riempie possa emergere e travolgere a distanza
di tempo.
E' il cinema di Kim ki-duk bellezza... coerente, ortodosso,
seducente come pochi. [fabio
melandri]