Piano 17
id.
Regia
Manetti Bros
Sceneggiatura
Manetti Bros,
Giampaolo Morelli,
Anatole Pierre Fuksas
Fotografia
Fabio Amadei
Montaggio
Federico Maneschi
Musica
Pivio, Aldo De Scalzi
Interpreti
Giampaolo Morelli, Elisabetta Ronchetti, Enrico Silvestrin, Giuseppe Soleri, Antonino Iuorio, Massimo Ghini, Simone Colombari
Anno
2005
Durata
103'
Nazione
Italia
Genere
thriller
Distribuzione
Moviemax
Uno dei sogni irrealizzati del maestro della suspence Alfred Hitchcock era quello di girare un film nello spazio angusto di una cabina telefonica. Si limitò ad una scialuppa di salvataggio in Prigionieri dell’oceano (1944) da un soggetto di John Steinbeck. Diede vita al suo sogno quasi 60 anni più tardi Joel Schumacher con il thriller In linea con l’assassino. Il risultato fu deludente. Oggi i Manetti Bros (al secolo Marco e Antonio Manetti) tentano un po’ per gioco un po’ per forza la via della sperimentazione estrema ambientando la loro ultima fatica cinematografica negli spazi claustrofobici di un ascensore, Piano 17.
Da un’idea dell’attore e regista teatrale Giampaolo Morelli, qui anche protagonista, i Manetti Bros si inventano produttivamente un film no-budget, girato in 5 settimane, con un camera digitale ad alta definizione del valore di Euro 4000, rigonfiato su pellicola per Euro 18000 (grazie all’intervento di uno sponsor presente nel film, ovvero H3G) per un costo complessivo di Euro 88000 euro più, euro meno. Registi, attori, tecnici e maestranze hanno lavorato gratuitamente, anzi molti ci hanno anche investito dei loro soldi (attori in primis).
Detto questo, non pensate ad un filmetto due camere e cucina, con recitazioni sciatte e dilettantistiche, tanto comuni nel povero cinema italiano. Tutt’altro. Piano 17 è un piccolo gioiello sui generis, un thriller che gioca con gli stereotipi del genere, frantumando la linearità della narrazione attraverso l’uso di flashback e digressioni che danno respiro ed epicità a storia e personaggi. Due riferimenti vengono in mente nell’immediato: Quentin Tarantino e Stanley Kubrick. Il primo per la frantumazione narrativa di cui sopra e per la riuscita caratterizzazione dei personaggi, stereotipati come il genere richiede ma pieni di vitalità e verosimiglianza; il secondo per la capacità dei Manetti di dare voce ad ambienti (i corridoi e le stanze del palazzo di vetro in cui si svolge la vicenda riportano alla mente gli stessi vuoti inquietanti ed oppressivi dell’Overlook Hotel di Shining) e utilizzare luci ed ombre in funzione non puramente illustrativa ma significante.
Punto di forza ed elementi fondamentali per dare la giusta tonalità al film le interpretazioni dell’intero cast con note di merito in particolar modo a Giampaolo Morelli (il buono), Antonino Iuorio (il brutto) ed Enrico Silvestrin (il cattivo) affiancati dall’amichevole partecipazione di Massimo Ghini, capace di rendere il suo personaggio in maniera così viscerale che, sebbene sia centrale nella vicenda ma con pochissime pose nella realtà, rimane impresso nella memoria con una forza e lucidità inusuale.
Un film che è un grande atto d’amore verso il cinema, verso il mestiere del cinema e che nel panorama asfittico della produzione nostrana rappresenta un piccolo miracolo italiano. [fabio melandri]