Da
un’idea di Maurizio Costanzo, la storia romanzata di Kledi
Kadiu, il ballerino albanese ‘adottato’ dalla coppia
Costanzo-De Filippi e protagonista dei teleschermi nazionali
con Buona Domenica ed Amici.
Beni, studente dell’Accademia di danza di Tirana vive
in Italia da più di un anno. Con altri quattro ballerini
viene truffato da una donna che promette di farli ballare nei
più importanti teatri europei.
La realtà è una cantina dove vivono quasi sequestrati
e lasciati liberi di uscire solo per esibirsi in squallidi spettacoli
di danza in provincia. Ma Beni è un tipo combattivo.
Si iscrive a un’audizione, conosce una ragazza, riesce
a scappare dallo scantinato. La libertà (senza permesso
di soggiorno) non è facile. Da subito Beni deve affrontare
una montagna di difficoltà: non può partecipare
allo spettacolo tv per il quale è stato scelto perché
non ha il permesso di soggiorno, la ragazza di cui si innamora
non lascerà mai il fidanzato per lui... infine una donna
potente che gli promette lavoro, carriera e l’agognato
permesso di soggiorno, lo coinvolge in una storia che rischia
di mandarlo davvero fuori strada...
Infarcito di episodi realmente accaduti al ballerino Kledi,
decorato dalla più classica e scontata delle storie d’amore,
Passo a due racconta la storia
di Cenerentola declinata al maschile, dove al posto del Palazzo
Reale c’è Nostra Signora Televisione (i cui studi
Mediaset, da Buona Domenica a Forum, ospitano le gesta dei nostri
eroi), della scarpetta un provino, delle sorellastre cattive
alcuni manager senza scrupoli e matresse-faccendiere.
Sulle tracce di un preciso modello di cinema popolare, assai
in voga nei primi Anni Settanta con i film canterini con protagonisti
i vari Albano & Romina e Gianni Morandi, Passo
a due sviluppa una trama cucita addosso ai sogni televisivi
di un vasto pubblico adolescenziale e sul modello di tante commedie
musicali di derivazione americana da Flashdance
a Footloose, da Save
a Last Dance al recentissimo Honey.
Esempi non certo alti ma che comunque segnano gli obiettivi
che un’opera come questa si pone: nessuna pretesa artistica,
soddisfazione di un’esigenza presente in un preciso segmento
di pubblico, ritorno economico del non trascurabile investimento
profuso.
A livello cinematografico poco resta al di là di una
recitazione elementare da parte dell’intero cast, di un
montaggio asincrono ed una regia che strizzando l’occhio
a datati sperimentalismi costruisce una serie di immagini fastidiosamente
ridondanti ed incapaci di esaltare le coreografie costruite
sulla muscolatura del suo protagonista. Più che un film
un video-book lungo 98 minuti.
[fabio
melandri]
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