Tratto
dal romanzo 'La stagione delle api' (in originale 'Bee Season',
ben più suggestivo del terribile titolo italiano) di
Myla Goldberg, vero caso letterario oltreoceano, trattandosi
di un esordio, con 500.000 copie vendute, Parole
d’amore non è come ci vorrebbero suggerire
i traduttori italiani una storia d’amore. O meglio non
è solo una storia d’amore, peraltro non da intendersi
in senso classico (l’amore c’è in questo
film ma non è semplicemente tra un uomo e una donna come
anche locandina e trailer potrebbero far pensare, se mai tra
un uomo e la sua famiglia), ma affronta tematiche ben più
auliche (a seconda dei punti di vista certo) come il rapporto
individuale con Dio e la disgregazione della famiglia borghese
americana.
Storia dolceamara di quattro solitudini tenute insieme come
una fragile gemma di cristalli in quel sempre più complicato
nucleo di contraddizioni etico-morali che è la famiglia:
Saul, padre fin troppo premuroso e impegnato professore di studi
religiosi; Miriam, madre inquieta in balia del trauma infantile
della perdita dei genitori; Aaron, figlio adolescente in cerca
di quelle risposte esistenziali che alla sua età non
si riescono mai a trovare; la piccola Eliza, campionessa di
spelling (sillabazione delle parole) della sua scuola, in fervente
attesa della spelling bee, la competizione nazionale di questa
disciplina tutta americana. Inutile dire che la meravigliosa
gemma che si profila sin dall’inizio è destinata
ad infrangersi pericolosamente quando l’equa bilancia
degli affetti si inclina. E così Saul vede nella (povera)
figlioletta un nuovo Abulafia, figura mistica dell’Ebraismo
capace di perdersi, proprio come Eliza, nell’impervio
mondo delle parole per raggiungere Dio; Miriam vaga di notte
per le strade inseguendo una luce (divina?) che solo lei vede
e componendo mosaici di vetri rubati un po’ ovunque; Aaron,
sentendosi sostituito dalla sorellina nel cuore del padre, abbandona
il proprio credo lasciandosi affascinare dai riti orientali;
Eliza deciderà di perdere la sua gara di spelling per
rimettere insieme i mille pezzi in cui si è frantumata
la sua famiglia.
Decisamente un film misterioso, crepuscolare, ermetico. Niente
a che vedere con i polpettoni romantici che impazzano a Natale
nelle nostre sale. I due registi, che avevano girato The
Deep End (I segreti del lago),
thriller ipnotico con Tilda Swinton sempre incentrato sull’ambiguità
morale della famiglia, confermano un certo gusto entomologico
per i caratteri individuali e per la dispersione dei valori
della società americana. In realtà sembra che
non sappiano bene dove andare a parare e spesso perdono la bussola
con soluzioni fin troppo semplicistiche (la scelta finale di
Eliza, la malattia mentale di Miriam, il repentino avvicinamento
di Aaron agli Harikrishna) ma avendo a che fare con parole (non
d’amore) e con Dio… [marco
catola]
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