Paranoid Park
id.
Regia
Gus Van Sant
Sceneggiatura
Gus Van Sant
Fotografia
Christopher Doyle, Kathy Li
Montaggio
Gus Van Sant
Scenografia
John Pearson-Denning
Costumi
Chapin Simpson
Musica
AA.VV.
Interpreti
Gabe Nevins, Dan Liu, Jake Miller, Taylor Momsen, Lauren Mc Kinney, Olivier Garnier, Scott Green
Produzione
MK2 Productions
Anno
2007
Nazione
Francia, USA
Genere
drammatico
Durata
90'
Distribuzione
Lucky Red
Uscita
07-12-2007
Giudizio
Media

“L’adolescenza è un momento in cui molto succede, ma nulla è definito. È la fase in cui devi separarti dall’autorità dei genitori per riconfigurare quello che può diventare un nuovo ordine, sempre che ci sia bisogno di un nuovo ordine”. C’è un elemento che ritorna in gran parte dei film di Gus Van Sant: l’adolescenza fatta di inquietudine e solitudine, che nella normalità nasconde la tragedia. Per quanto fosse assente in Elephant, il regista cinquantacinquenne in questo lungometraggio inserisce il dubbio, l’ipotesi che un gesto involontario ma definitivo possa distruggere, sconvolgere la vita di un sedicenne come tanti.
Alex vive a Portland (città natale dell’autore) e frequenta il liceo. La sua passione non sono le ragazze – ha una fidanzata molto carina, ma più che altro è un fastidio, un impedimento -, ma lo skateboard. Un giorno un amico lo invita ad andare a Paranoid Park, luogo malfamato della città dove si confrontano i più abili esperti in materia di skateboard. Molte cose cambiano. Dopo il pomeriggio insieme, la sera seguente i due si mettono d’accordo per tornare a Paranoia Park. L’amico cambia idea: preferisce andare da una ragazza, ma gli lascia la casa, vuota, a disposizione. Alex decide di andare comunque a fare skate: il desiderio è troppo forte, nonostante non sia sicuro andarci da solo. Lì, seduto sul suo inseparabile oggetto di locomozione, invece di osservare i movimenti degli altri, pensa ai genitori che stanno divorziando e al fratellino che tutte le sere vomita la cena per il troppo stress. Pensieri cupi: per sfuggirgli, segue uno sconosciuto sulle rotaie. Vogliono saltare dentro i treni merci. Basta un attimo e Alex uccide accidentalmente un agente che li ha scoperti. Decide di scappare e continuare la sua vita senza dire nulla a nessuno. Da qui comincia la paura, il pentimento, la finzione, l’indifferenza, le bugie e la ricerca di un metodo per superare la tragedia. Lo troverà nel consiglio di un’amica.
Il lungometraggio numero quindici, tratto dal romanzo omonimo di Blake Nelson, non segue un percorso lineare, come invece il libro. La storia viene ripercorsa da Alex stesso (come gli altri interpreti, è stato reclutato tramite un annuncio pubblicato su MySpace dove si cercavano skateboarder) tramite flashback e ricostruzioni spazio temporali invertite. Durante lo svolgimento della vicenda, si capirà il perché.
Le immagini sono sia in super 8 che in 35 mm. Van Sant spiega il motivo: “Abbiamo deciso di girare qualche sequenza supplementare sullo skateboard in super 8. E’ decisamente più difficile tenere una macchina da presa più grande tenendosi in equilibrio su una plancia. Il 35 mm è troppo costoso perché possa essere utilizzato normalmente da coloro che realizzano filmati su skateboard”. Non mancano scene al rallentatore, in particolare dentro i corridoi del liceo dove la polizia si reca per interrogare gli skater della scuola. Il rimando è immediato a Elephant, ma anche a tutto il cinema di Van Sant. Paranoid Park ha vinto il Sessantesimo anniversario del festival di Cannes, anche grazie alle riprese semplici, intense e senza troppe intromissioni: “Sul set non c’era nemmeno il dipartimento trucco o guardaroba – precisa Van Sant. I vestiti erano i loro, loro i tagli di capelli. Sono ragazzi presi dalla strada. Belli, ma di una bellezza organica”. Van Sant prosegue la sua analisi introspettiva dell’universo adolescenziale, senza emettere alcun giudizio. [valentina venturi]