Bologna
1938 - Michele Casali (Silvio Orlando) si trova a vivere una
situazione disperata: Giovanna (Alba Rohrwacher), la sua figlia
unica ancora adolescente con seri problemi mentali, ha ucciso
per gelosia la sua compagna di banco e migliore amica. Evitando
il carcere, la ragazza viene ritenuta non sana di mente e
perciò rinchiusa in un ospedale psichiatrico a Reggio
Emilia dove rimarrà fino all’età di 24
anni (1945), durante il quale il rapporto con la madre Delia
(Francesca Neri) già problematico prima, diventa praticamente
assente. Testimone sempre presente di questi terribili eventi
che hanno sconvolto il piccolo nucleo familiare, in anni certamente
non facili, un ispettore di polizia, aitante, simpatico e
amico intimo di Michele: Sergio Ghia (Ezio Greggio).
Pupi Avati nel raccontare questo dramma familiare fatto di
incomprensioni, egoismi, piccoli rancori mai sopiti, si rifugia
nella sua amata Bologna, palcoscenico a lui così familiare
composto da personaggi a lui così vicini da risultare
rassicurante. Un microcosmo attraverso il quale raccontare
con il suo solito stile un paese traumatizzato che sta cambiando
attraverso il trauma di una famiglia, di una coppia di genitori
posti di fronte al più terribile dei dolori: la perdita
di una figlia.
La si può perdere in diversi modi. Delia la madre la
perde per mancanza d’amore, un amore rivolto più
che all’interno della propria famiglia (Mi ha sposato
perché aveva bisogno di un tetto sopra la testa, dice
ad un certo punto il personaggio del marito, Michele) verso
l’esterno nella figura dell’ispettore Sergio,
oppure per troppo amore come capita per Michele, iperprotettivo
nei confronti della figlia tanto da non riuscire a vedere
le problematiche che l’affliggono e contribuendo a creare
quel mondo parallelo in cui Giovanna si chiude e vive.
Esempio di cinema classico che di più non si può,
con una fotografia seppiata a ricostruire le atmosfere di
un tempo non troppo lontano, che punta tutto, anzi troppo,
sulla presenza fisica di un cast altalenante con un Orlando
professionale e contenuto al punto giusto (Coppa Volpi alla
Miglior Interpretazione Maschile), un’ottima Alba Rohrwacher,
una Francesca Neri intrappolata in un personaggio che pare
stargli un po’ stretto, un Greggio che nonostante la
buona volontà fa fatica a spogliarsi della sua dimensione
televisiva. Un finale posticcio e consolatorio, incoerente
con l’intera struttura narrativa del film, va a chiudere
una pellicola che si lascia vedere ma che dal punto di vista
cinematografico non presenta nulla di nuovo e originale, e
da quello emotivo lascia freddi, distaccati, annoiati. Nonostante
tutto, applausi alla proiezione stampa a Venezia, dove è
stato presentato in concorso.
[fabio melandri]