Palermo Shooting
The Palermo Shooting
Regia
Wim Wenders
Sceneggiatura
Wim Wenders, Norman Ohler
Fotografia
Franz Lustig
Montaggio
Peter Przygodda, Oli Weiss
Scenografia
Sebastian Soukup
Costumi
Sabina Maglia
Musica
Irmin Schmidt
Interpreti
Campino, Dennis Hopper, Giovanna Mezzogiorno, Milla Jovovich, Lou Reed, Patti Smith,
Jana Pallaske, Sebastian Blomberg, Udo Samel, Melika Foroutan
Produzione
Cattleya, Warner BrosItalia
Anno
2008
Nazione
Germania, Italia
Genere
drammatico
Durata
124'
Distribuzione
BiM Distribuzione
Uscita
28-11-2008
Giudizio
Media

A Düsseldorf Finn (Campino, cantante rock del gruppo Die Toen Hosen) è un fotografo di fama mondiale, diviso tra la carriera nella moda e quella artistica. La sua è una vita frenetica, senza tempo per fermarsi a pensare a se stesso e a quello che lo circonda: il cellulare è sempre in funzione, dorme di rado (quando capita, ha sempre degli incubi) e nelle orecchie ha acceso un lettore mp3. La passione per le foto è così grande da fargli rischiare la vita: di notte mentre sta tornando a casa, scatta un’immagine a 360° che gli evita un incidente, ma fissa sulla pellicola la morte stessa (Dennis Hopper). La visione di un uomo bianco, incappucciato, non l’abbandonerà più.
Durante un servizio con Milla Jovovich accetta la proposta della modella di fotografarla in intimità, con scatti che diano valore alla sua gravidanza. Finn accoglie la proposta e, dopo una surreale chiacchierata con uno sconosciuto (circondati da pecore e Finn che dorme su un albero), stabilisce come mèta Palermo. Il termine originale della città era Panormus, dal greco “tutto porto”, luogo dove tutto si ricongiunge… Gli shooting di moda vanno a buon fine, ma mentre la troupe sta smontando gli attrezzi, Finn comunica che rimarrà in Sicilia per un periodo indefinito. Vuole prendersi il tempo che gli è mancato e capire cosa vuole fare della sua vita. Va a zonzo per la città, si addormenta dove capita e tra un pranzo e uno scatto, conosce Flavia (Giovanna Mezzogiorno), una giovane restauratrice siciliana, impegnata su un grande affresco cinquecentesco raffigurante il trionfo della morte. Tra i due, poco a poco, si crea un’intimità emotiva e sentimentale.
Wim Wenders ci regala ancora una volta delle immagini avvolgenti, una fotografia calda e ricercata, scorci che fanno pensare ai film migliori (Nel corso del tempo, 1976; Paris – Texas, 1984; Il cielo sopra Berlino, 1987). Eppure il regista tedesco persiste nella vuota e didascalica riflessione sull’uomo, sulla morte, polemizzando sull’uso della fotografia digitale - “è una manipolazione, si perde l’essenza delle cose” - e sul tempo che “deve entrare in gioco”. Volendo ad ogni costo spiegare tutto, perde in credibilità.
Basti come esempio il dialogo finale sui sommi temi tra Finn e La morte che si muovono attraverso le scale (evidente riferimento a Maurits C. Escher) e gli archivi comunali: sfiora il ridicolo, il già sentito. A poco serve la dedica della pellicola a Michelangelo Antonioni e ad Ingmar Bergman (smaccato il riferimento a Il settimo sigillo). Anche i cameo di personaggi famosi nel ruolo di se stessi, la Jovovich e Lou Reed (il cantante si materializza in un bar mentre dal jukebox Finn sceglie una sua canzone), non rappresentano più l’identificazione filosofica alla vicenda, ma perdono di valore rischiano di trasformarsi in un gioco alla “indovina chi”. L’ispirazione non è più quella di un tempo. La Mezzogiorno interpreta il ruolo di Flavia con convinzione ed intensità espressiva, ma viene il dubbio che sia stata scelta soprattutto per il suo ottimo accento. “Bisogna prendere tutto sul serio, a parte se stessi”. Wender non ha fatto propria la frase che fa pronunciare al protagonista. [valentina venturi]