I padroni
della notte
prende il titolo dallo slogan dell’unità della
NYPD che, negli anni Ottanta, si occupava di crimini commessi
in strada. In un certo senso il film è un inno alla
polizia newyorkese. L’idea del film è venuta
da una fotografia del New York Times di un funerale di un
poliziotto. Ricorda il regista: “Nella foto tutti questi
adulti si abbracciavano… In lacrime per la morte di
un loro collega caduto nell’adempimento del dovere e
l’immagine era carica di forti emozioni”.
Siamo nel 1988. Al centro della vicenda ci sono due fratelli:
Bobby (Joaquin Phoenix) e Joseph (Mark Wahlberg). Il primo
ha scelto di nascondere le sue origini, visto che in famiglia
sono tutti degli affermati poliziotti, e di prendere il cognome
della madre: lavora per i Russi, gestendo El Caribe, un locale
di Brooklyn molto famoso e frequentato anche da gente poco
raccomandabile. Joseph, al contrario, ha seguito le orme paterne:
come Bert (Robert Duvall), è entrato in polizia. Ultimamente
sta seguendo una pista di spacciatori di droga, che porta
direttamente nel locale di Bobby. Una sera lì si svolge
una retata, che ha come unica reale conseguenza il ferimento
mortale di Joseph, mentre scende dall’automobile per
andare a casa. I Russi vogliono far capire ai cop che non
avranno vita facile.
Da questo momento in poi per Bobby le priorità cambiano,
drasticamente. Prima accetta di diventare un infiltrato, entrando
nel mondo degli spacciatori russi dalla porta principale.
Ma, portandosi dietro un accendino con un microfono (peccato
che si capisca fin dall’inizio l’intoppo con i
cerini), viene scoperto in breve tempo. A Bert non resta altro
che farlo entrare nella protezione testimoni. Insieme all’amata
Amada (Eva Mendes). Da padroni del mondo, diventeranno topi
d’albergo. Durante un trasferimento da un albergo in
un altro, però, una soffiata causa la morte del capofamiglia,
realizzata in un inseguimento ben girato. Per Bobby è
il momento delle decisioni irreversibili: entra nel corpo
di polizia, anche se questo passo significa perdere la donna
della sua vita. I due fratelli hanno un solo scopo: vendicare
la morte del padre. E ci riusciranno, anche se in modo illegale…
Dopo Little Odessa, James Gray
torna a trattare i suoi argomenti preferiti: mafia dell’Est
e l’ambiente della polizia. Ma tutti in modo prevedibile
e già visto, anche se Gray dichiara di essere stato
influenzato dal nostro Luchino Visconti e da Il
Padrino di Francio Ford Coppola. Persino il cast non
è sfruttato al meglio: Mark Wahlberg è sottotono
rispetto all’interpretazione in The
Departed o meglio non è sfruttato al meglio.
Nell’insieme un film ripetitivo e nella soluzione finale
poco credibile. [valentina venturi]