La bella
notizia nell'apocalittico futuro di Guillermo Del Toro è
che finalmente ci sarà la pace tra tutte le potenze della
Terra; quella cattiva è che non arriverà grazie
ad accorate omelie domenicali in piazza San Pietro e neppure
per mezzo degli appelli di fantomatiche rockstar. In realtà,
gli alieni attaccheranno il pianeta dagli abissi oceanici sotto
forma di mostri mastodontici e spiccatamente giurassici (i Kaijiu
della gloriosa tradizione giapponese) seminando terrore e devastazione
nelle più grandi città del mondo e spingendo i
capi dei governi ad accantonare interessi di parte per creare
un'interforza di Jaeger, robot altrettanto giganteschi progettati
per affrontare le terribili creature e pilotati da umani interconnessi
a livello cerebrale. Gli alieni però, come spesso capita,
ci precedono e presto trovano il modo per sconfiggere i Jaeger
e spingere gli uomini a costruire enormi muraglie per proteggere
i loro insediamenti. Nel giro di pochi anni, violate anche le
fortificazioni, il progetto Jaeger trasformatosi in una sorta
di resistenza paramilitare senza fondi governativi sarà
l'unica salvezza per il Pianeta, richiamando tra le sue fila
un abile pilota (Charlie Hunnam) che perse il fratello per mano
dei Kaijiu e ora si troverà a combattere insieme ad una
misteriosa ragazza dal passato ingombrante e doloroso (Rinko
Kikuchi).
Anche a lasciar fermo sulla carta il nuovo progetto di Del Toro,
traspare tutta la sua magniloquenza e la voglia di sfruttare
al massimo le potenzialità del mezzo cinematografico:
la produzione ha così rinunciato a volti particolarmente
attraenti per il cast per potersi concentrare sulla resa in
3D delle scene d'azione centrando l'obiettivo. Effettivamente
vedere questi enormi bestioni calpestare intere città
e causare tsunami con i loro tuffi in acqua fa pensare con divertita
nostalgia agli sfondi colorati e ai combattimenti tra uomini
vestiti da mostri del cinema di genere che proliferava nel Sol
Levante neanche mezzo secolo fa, mentre il meccanismo di pilotaggio
dall'interno e collegato strettamente ai movimenti dei piloti
ricorda molto da vicino il recente “Real
Steel” con Hugh Jackman, incentrato sui
combattimenti tra robot.
Rispetto a quest'ultimo film (che non a caso aveva la Disney
e Spielberg tra i produttori) e a molti altri dello stesso genere
ma meno recenti, a questo “Pacific
Rim” manca invece la definizione dei personaggi
e la cura dei dialoghi, che a tratti lo fanno apparire come
un action movie di seconda fascia o un film pensato per un pubblico
prettamente infantile, con la sua divisione manichea tra buoni
e cattivi, simpatici e antipatici e con le dinamiche psicologiche
che muovono i personaggi così vagamente abbozzate che
sembrano tracciate da impacciate mani Kaijiu piuttosto che umane.
Del Toro insomma conferma esattamente gli stessi limiti mostrati
nei due “Hellboy”,
ma dimostra comunque sufficiente talento per essere riconoscibile
in un blockbuster di cotante dimensioni grazie all'ambientazione
particolarmente cupa e pessimistica dove non si vede quasi mai
il Sole (ne va dato merito al fidato direttore della fotografia
Guillermo Navarro) e grazie alla consueta sensibilità
per la parte infantile dei suoi personaggi (altro marchio di
fabbrica da “Il labirinto
del fauno”) nonché dei suoi spettatori.
In questo senso, a muovere questi enormi robot contro i terribili
invasori della Terra prima degli effetti mirabolanti, viene
da pensare proprio alle mani di un bambino che gioca con i suoi
giocattoli immaginando esplosioni e acrobazie improbabili: inutile
negarlo, visto così non si può non trovare inaspettatamente
poetico anche tutto questo frastuono. [emiliano
duroni] |