Nei
dintorni di Oxford, un’anziana signora viene trovata
morta nel soggiorno della sua abitazione. A scoprire il corpo,
due uomini che si incontrano per la prima volta in questa
circostanza: Arthur Seldom, prestigioso professore di Logica
e Martin, giovane studente americano appena approdato all’università
per seguire il dottorato proprio col professore Seldom.
La morte
dell’anziana non è che il primo di una serie
di omicidi che hanno inquietanti elementi in comune. Si tratta
di delitti che potrebbero passare quasi inosservati, che potrebbero
essere scambiati per morti naturali, se non fosse per il fatto
che ciascuno di essi è accompagnato da un messaggio:
un’immagine, un segno che cambia di omicidio in omicidio,
di morte in morte, dando origine ad una sequenza la cui logica
dovrà essere decifrata dai due protagonisti.
Per ciascuno
dei due personaggi, il professore e il suo alunno, intraprendere
questa indagine significherà mettere alla prova non
soltanto le proprie convinzioni matematiche, ma il modo stesso
di vedere la vita. Si può conoscere la realtà?
E’ possibile arrivare alla verità?
Note
di regia: Alex de la Iglesias
The
Oxford Murders è fondamentalmente un mystery
thriller vecchia maniera. Il film comincia con un omicidio
e il motore della storia diventa il desiderio dello spettatore
di scoprire l’assassino. Non è niente di nuovo.
E allora, perché fare questo film? non ci sono già
abbastanza thriller? Che cosa lo rende diverso dagli altri?
Innanzitutto, scoprire l’assassino diventa impossibile
se prima non si è trovata una risposta alla domanda
veramente determinante: si può conoscere la verità?
E’ possibile avere una certezza assoluta riguardo a
qualcosa? E’ proprio porsi seriamente questi interrogativi
che è insolito per un thriller.
Diciamo che la soluzione del mistero
richiede di sapere se l’uomo è realmente in grado
di conoscere la realtà in modo assoluto o se, al contrario,
i suoi meccanismi mentali non sono sufficientemente sofisticati
da consentirgli di arrivare a quella che potremmo definire
un’indubbia certezza, un assioma incontestabile. Questo
dilemma ci coinvolge sia come spettatori sia come individui.
La realtà ha un’essenza
matematica? Esiste una logica occulta che ordina e spiega
il nostro agire o, al contrario, la vita è retta solo
dalla logica e dal caso? Il vero conflitto del thriller è
questo: due atteggiamenti diversi nei confronti del mondo
e della conoscenza. Il protagonista ha fiducia nelle capacità
offerte dal metodo logico, nella matematica come strumento
perfetto di discernimento del falso dal vero. Seldom è
vecchio e non ha fiducia in niente. Ritiene che esista una
dissociazione insanabile tra il pensiero puro e la materia.
E’ un cavaliere che ha perduto la fede nella ricerca
del Santo Graal.
Non potremo mai conoscere con assoluta certezza chi è
l’assassino perché non avremo mai abbastanza
prove e perché nessuna di esse è assolutamente
inconfutabile. Seldom è un cinico, tuttavia si avvicina
di più alla verità quando comincia a dubitare
della verità stessa.
Martin, all’inizio del film,
è sicuro di sé e della propria intelligenza.
E’ capace di comprendere la realtà e di afferrarla,
persino di sedurla. Il punto di partenza è questo:
la fiducia del protagonista nella realtà. La vita è
un gioco nel quale si vince e si perde, con regole ben precise.
Chi sa giocare vince, perde chi non sa farlo. Nel corso della
partita Martin visiterà il castello dell’orco.
Occorre passare di là per raggiungere la meta. L’orco
insegnerà a Martin che le regole del gioco non sono
certe. Servono per spostarsi sul campo di gara, ma all’interno
del castello tutto funziona in modo diverso.
Il gioco è disseminato di trappole. Alla fine Martin
scoprirà che il gioco né si vince né
si perde. E scoprirà anche qualcosa di molto terribile.
E’ possibile che lui non sia la persona che credeva
di essere. Sognava di essere il cavaliere che uccide l’orco.
E’ invece possibile che sia lui stesso l’orco.