Le
cinque sorelle Bennet – Elizabeth, Jane, Lydia, Mary e
Kitty – crescono sotto la materna ossessione di trovar
un marito che possa assicurare loro un futuro sicuro. Jane la
maggiore si innamora presto e ricambiata del giovane e ricco
scapolo Charles Bingley; Lydia la più piccola troverà
l’amore prima ed un matrimonio riparatore in seguito con
un giovane soldato dell’esercito inglese; Elizabeth la
ribelle ed indipendente della famiglia, incoraggiata dal padre
che la adora, tenta di vivere la sua vita con una prospettiva
ben più ampia di quanto rango e convenzioni non richiedano.
L’incontro con l’introverso Signor Darcy scatenerà
in Elizabeth ragioni e sentimenti tra loro contrastanti.
Seconda trasposizione sul grande schermo, dopo la versione del
1940 con Laurence Olivier, del classico di Jane Austin Orgoglio
e Pregiudizio, la versione targata 2005 per la regia
del debuttante con un passato televisivo e di cinema corto Joe
Wright tenta il difficile connubio tra parola scritta e linguaggio
cinematografico senza abdicare a nessuna delle due parti ma
cercando un equilibrio, seppur instabile ed intermittente.
Il romanzo scritto tra il 1796 e il 1797 quando l’autrice
aveva appena 21 anni in seguito all’innamoramento contrastato
dalla di lei famiglia verso un giovane uomo e pubblicato solo
nel 1813, è un affresco vivace sui pregiudizi imperanti
nella società classista di fine settecento, con precisi
e netti distinguo tra l’essere (bontà di una persona)
e l’apparire (rango e ricchezza) tanto nelle classi più
agiate quanto in quelle meno abbienti come nel caso della famiglia
Bennet.
Tema, quello della lotta di classe che si innesta in quella
dei sessi, che emerge con vigore e chiarezza nella trasposizione
cinematografica di Wright, muovendosi come un pendolo tra l’orgoglio
dei singoli personaggi e i pregiudizi della loro classe di appartenenza,
entrambi ostacoli verso la realizzazione di obiettivi e felicità.
La natura letteraria dell’opera viene conservata nei fitti
dialoghi – anche se asciugati e ridotti rispetto al romanzo
– mentre il respiro cinematografico è dato da una
macchina da presa agile e mobile nello spazio diegetico ed un
montaggio creativo che come nella scena del ballo senza soluzione
di continuità ci introduce nel flusso emotivo dei personaggi.
Keira Knightley (La maledizione della
prima luna, The Jacket,
King Arthur), qui alla sua prima
prova da protagonista assoluta, dona alla sua Elizabeth modi
da monella impertinente calibrando bene i poli caratteriali
da ragazzina indipendente e sfrontata e giovane in cerca dell’amore
assoluto, grande, come quello letto nei libri della biblioteca
paterna. Suo partner un ingessatissimo Matthew MacFadyen (Maybe
Baby, My Father’s Den)
vuoi per il ruolo forse per capacità recitative monocorde,
che convince quando sale sulla giostra delle convenzioni e pregiudizi,
assai meno quando è il turno dei sentimenti. Completano
il cast due signori professionisti come Brenda Blethyn (Segreti
e Bugie, L’erba di Grace)
e Donald Sutherland (Quella sporca dozzina,
M.A.S.H., JFK)
relegati a ruoli di contorno un poco macchiettisti con l’evidente
compito di creare parentesi atte ad alleggerire la struttura
del racconto.
[fabio melandri]
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