È
un film che fruga nella memoria di uomini d'altri tempi, nella
potenza dei loro sogni, nella forza delle loro visioni. È
la storia di un viaggio come percorso metamorfico, l'uomo
antico si trasforma nell'uomo moderno, recide le sue radici,
lascia la terra, si allontana dalla natura per diventare un
uomo del “Nuovomondo”.
Emanuele Crialese
Inizi
Novecento. Una decisione che cambierà la vita di una
famiglia intera: lasciarsi alle spalle il passato e iniziare
una vita nuova nel Nuovo Mondo, gli Stati Uniti d' America.
Un paese dove i vegetali sono enormi (carote, olive, ecc.),
il denaro cresce sui rami degli alberi, e il latte scorre
a fiume come nell'immaginifico castello di Willi Wolka.
Un paese dalle terre sconfinate ed incolte ora che la schiavitù
è stata abolita, pronta ad accogliere i braccianti
di mezzo mondo, italiani in testa, pronti ad acquistare un
biglietto ed un passaporto per la felicità... presunta.
Ma la porta per gli Stati Uniti, non è ad apertura
automatica, ma bensì un cancello dalle inferriate alte
come i suoi grattacieli, ben visibili da Ellis Island, la
porta verso l'occidente. Un varco non automatico, ma soggetto
a test psico-fisici per accertare la salute fisica e mentale
dei suoi nuovi "cittadini". Malati di mente, sordo-muti
sono categorie "non accettate" nel Nuovo Mondo,
come più tardi non lo saranno nel Vecchio Mondo stretto
nella morsa nazista. "Sono americano i primi studi
di eugenetica che contribuiranno alla teorizzazione della
razza pura e alla pulizia etnica nazista. La razza americana,
una razza che non esiste" racconta il regista Crialese.
Un film umanista, con l'uomo prepotentemente al centro di
un racconto che non lascia spazio ad un sentimentalismo di
comodo, non avendone bisogno per la forza intrinseca e morale
della storia che Crialese mette in scena con immagini eleganti
e ricercate ma mai fredde e asettiche. Un racconto che procede
per immagini e sbalzi nell'iperspazio di parentesi surreali
e grottesche, e per suoni, gli stessi lugubri e profondi che
accompagnano il viaggio in mare dei nostri su una nave che
mai vedremo nella sua totalità ma che percepiamo viva
e presente grazie a dettagli dei suoi particolari - i fumaioli
su tutti - e incursioni nel suo ventre più profondo
in cui "ascoltiamo" la sua voce che si rifrange
nei flutti del mare.
"Non mi piace il termine emigrazione. Troppo riduttivo.
La storia dell'umanità è fatta di spostamenti,
fin dall'alba dei tempi. Quello racconto è un viaggio,
un percorso metaforico" continua il regista, semi
che vanno a fruttificare in terre più fertili. Così
si definiscono coloro che scelgono di partire.
Leone d'oro morale della 63esima Mostra Internazionale d'Arte
Cinematografica di Venezia, si è dovuto accontentare
di un Leone d'Argento - Rivelazione. Un'occasione mancata
per il nostro cinema che ci auguriamo assai più lungimirante
in sede di scelta del candidato italiano alla Notte degli
Oscar. Signori, è nato un Autore!
[fabio melandri]