Niente paura
id.
Regia
Piergiorgio Gay
Sceneggiatura
Piergiorgio Gay,
Piergiorgio Paterlini
Fotografia
Marco Sgorbati
Montaggio
Carlotta Cristiani
Scenografia
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Costumi
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Musica
Ligabue
Interpreti
Luciano Ligabue
Produzione
Lumiére e Co., Bim Distribuzione, Fondazione Smemoranda, Riservarossa
Anno
2010
Nazione
Italia
Genere
documentario
Durata
85'
Distribuzione
BiM Distribuzione
Uscita
17-09-2010
Giudizio
Media

Partiamo da Paolo Rossi, quando dice che la televisione ha trasformato il popolo in pubblico. Partiamo da lui, dal suo intervento: “[...] e il pubblico è tifoso, non è molto preparato come tutti i tifosi, sopratutto sui problemi che lo riguardano. Il popolo è il pubblico ormai, vota da casa, applaude, si indigna e poi va a dormire.”
Involontariamente, l'attore fa emergere il problema che guasta alla radice un prodotto come “Niente paura”, documentario di Piergiorgio Gay.
Il punto di partenza del film è acuto: raccontare l'Italia a partire da uno dei suoi musicisti più popolari, Luciano Ligabue. L'idea è sensata. Un musicista ha una rilevanza culturale direttamente proporzionale al suo successo di pubblico. La rilevanza di Ligabue, in questo senso, è indubitabile, indipendentemente dal parere che si possa avere della sua musica. Ligabue è rappresentativo di una tendenza, di un clima.
Il problema è che il film invece di sfruttare questo spunto potenziale si perde in un doppio canale, dove se da una parte si dedica a un piatto inno a Ligabue che può far presa (emotiva) solo su chi è già accanito fan dello stesso, dall'altro sfodera una sorta di bigino dei temi caldi dell'Italia di oggi ad uso e consumo del progressista medio.
Si esce così dalla sala, o almeno il sottoscritto, in quanto, ahimè, progressista medio, ne sono uscito, con una sensazione di piacevole vacuità retta da una visione che aveva confermato, superficialmente, tutto quello che già più o meno pensavo, senza aspettare che fosse Piergiorgio Gay a dirmelo e senza aggiungere o togliere nulla a tanti discorsi preconfezionati già sentiti in televisione.
Niente paura finisce così col trattare il suo pubblico in quel senso deleterio che Paolo Rossi attribuisce alla parola stessa e lasciare, a posteriori, la sensazione che si tratti solo di un prodotto furbetto, dove Ligabue è solo un marchio per sperare nell'affluenza di pubblico (quello dei fan) per un film altrimenti privo di qualunque appeal. Sensazione cui la scelta scriteriata della maggioranza degli intervistati conferma drammaticamente: per lo più “personaggi” televisivi che in luogo del film si destreggiano dicendo la loro su integrazione sociale, costituzione e strategia della tensione.
O si sceglie di partire “dal basso” e di sentire l'opinione “dell'uomo della strada” o si va a cercare gli “esperti” dell'argomento. Entrambe le scelte hanno una loro dignità concettuale e un sottotesto ideologico con le sue problematiche. Scegliere invece di sentir l'opinione di Fabio Volo e Carlo Verdone che mi rappresenta se non la rinuncia a qualunque parametro concettuale in nome della vendibilità del prodotto? [davide luppi]