Dopo
un silenzio, più o meno forzato, di ben 8 anni (il
suo ultimo lavoro Controvento
con l’inedita accoppiata Buy-Golino risale al 2000),
torna Peter Del Monte, per alcuni un maestro, per altri un
regista sopravvalutato. Schivo, introverso e decisamente non
facile, Del Monte si è sempre imposto con un cinema
fuori dagli schemi, poco convenzionale e lontano dal gusto
corrente. Un cinema forse d’altri tempi che si ricollega
a tutta una tradizione, anche di matrice antonioniana se vogliamo,
più incline all’introspezione e all’intimismo
che non alla spettacolarizzazione dei sentimenti o all’esaltazione
del pathos. E anche la sua ultima fatica, ed è proprio
il caso di definirla così viste le difficoltà
produttive (il film non ha ottenuto finanziamenti statali
e non è spalleggiato dalla tv come è orgogliosa
di precisare la Teodora di Vieri Razzini che lo distribuisce),
sembrerebbe rientrare in questa sua personalissima ottica:
cinema non assuefatto alle leggi di mercato, tutt’altro
che rassicurante, in una parola libero. Ora non sempre però
il coraggio è un merito e se indubbiamente Nelle tue
mani è un film coraggioso per tematiche, impostazione
e messaggio l’imprint inculcato da Del Monte a sceneggiatura
e messinscena non riesce in effetti a mantenere le premesse
vantate.
Melodramma degli affetti tra mancanze snaturate e traumi sopiti,
abbandoni reiterati e severe implosioni, ferite indelebili
e rimarginazioni insperate. Con un occhio di riguardo per
la presa di coscienza della propria insanità e la rassegnazione
al caos universale. Due le anime coinvolte: Teo, astrofisico
raziocinante attratto dall’ignoto ingestibile e distruttivo,
e Mavi, dea caotica e umorale, instabile e affascinante come
una supernova. L’incontro-scontro tra i due (Mavi investe
con l’auto Teo) dà inizio ad una storia d’amore
che nel giro di circa dieci anni trova il tempo per nascere,
morire e forse risorgere. Passando attraverso la violenza
di un’esacerbazione interiore che spinge Teo all’isolamento
atarassico e Mavi alla progressiva distruzione di sé
e di tutto quello che le gravita intorno. L’equilibrio
spezzato dall’instabilità del cuore di Mavi non
segna la fine di un amore ma solo un black out emozionale
e momentaneo che non trova più nel corpo la sua valvola
di sfogo e si spinge oltre i limiti della frustrazione rasentando
la patologia. Mavi è il caos cui Teo inconsciamente
aspira ma che consciamente rifugge. Come per protoni ed elettroni
anche per Mavi e Teo vige la legge degli opposti che si attraggono.
Il nucleo dei loro cuori è tenuto insieme proprio dalla
compensazione che l’uno opera sull’altra. L’apparente
linearità di Teo compensa il turbinio esistenziale
di Mavi. In questa lotta di flussi contrapposti Del Monte
sembra dirci che su tutto vince il tempo, che placa inquietudine
e incertezze, e forse l’amore. Un amore complicato ma
anche semplice, quasi cristallino nella sua ovvietà.
Due persone che si amano tra alti e bassi. Con tanto di figlia
a carico. Come tante altre storie d’amore di oggi. Nascoste
dietro le mura di casa, dove nessuno più entrare. Del
Monte ci si addentra e carica di emozioni la sua messinscena
senza però strafare e lasciando campo libero ai suoi
due attori-robot. Il gioco dei ruoli diventa a tratti estenuante
e alla fine il rischio di assecondare un’autorialità
sovraesposta incombe. Un film sull’amore, sulla caducità
dei sentimenti e sull’incomunicabilità. Sgraziato,
disturbante e tutt’altro che consolatorio. [marco
catola]
Note
di regia: Peter Del Monte
“Mavi
è una ragazza instabile e ha nel cuore un male oscuro.
Esplode quando si sente abbandonata, si trasforma in una specie
di furia che getta nello sgomento chi le sta vicino.
Sembrerebbe un personaggio distruttivo, e in qualche modo
lo è, solo che alla fine prevale in lei, malgrado tutto,
una spinta vitale e una generosità che gli altri non
hanno e da cui restano contagiati.
Una forza primordiale che Teo, persona razionale, bisognoso
di ordine, prova all'inizio a contenere, ma da cui poi, per
non essere sopraffatto, fugge via. Ma la distanza da lei non
ne attenua il richiamo. E lo obbliga a confrontarsi con i
propri limiti. E con il mistero del caos, che crea la vita
e fa muovere le cose”.