Forse
non tutti sanno che Jonathan Demme, regista famoso soprattutto
per film di successo come Il Silenzio
degli innocenti e Philadelphia,
non è estraneo al mondo della musica. Sua è
la regia di gran parte dei videoclip di Bruce Springsteen.
E già nel 1984 aveva diretto un documentario musicale
sui Talking Heads, Stop Making Sense,
da noi poco noto se non addirittura inedito, in cui rivelava
da subito le sue doti innate nel filmare i concerti soffermandosi
non tanto sul loro semplice svolgimento quanto sull’“umore”
che si diffonde nel pubblico, nell’aria, nei cuori.
Sono passati vent’anni ed ecco che Demme torna ad occuparsi
di musica. E lo fa focalizzando la sua attenzione su uno dei
mostri sacri del rock, Neil Young. Cantautore solista (con
un passato nei gloriosi anni ’60 nel gruppo folk country
rock NSCY insieme a Crosby, Stills e Nash) di origini canadesi,
considerato leggenda vivente del rock (pur non avendo partecipato
a Woodstock), Neil Young, a sua volta, non è estraneo
al cinema. E’ stato compositore delle musiche di molti
film come Where the Buffalo Roam
di Art Linson, Out of Blue di
Dennis Hopper e Dead Man di Jim
Jarmusch (proprio quello stesso Jarmusch che qualche anno
più tardi gli dedicherà “Year of the Horse”,
documentario sul tour di Young insieme ai Crazy Horse del
1996). Ma anche attore nei film Made
in Heaven e Love at Large
di Alan Rudolph, ’68 di
Steven Kovacs e The Last Waltz
di Martin Scorsese insieme a Bob Dylan. E addirittura regista
con il musical politico Greendale
del 2003.
In Neil Young: Heart of Gold
(il titolo fa riferimento ad una delle sue canzoni più
famose) Demme ci ritrae il cantante nello storico Ryman Auditorium
a Nashville, capitale assoluta del country come tutta una
tradizione anche cinematografica ci ha fatto conoscere. Young
è decisamente cambiato rispetto a come ci veniva presentato
negli altri documentari e nei film cui ha partecipato (dove
ha quasi sempre interpretato il ruolo di se stesso). Non più
furia incendiaria contro la società americana, Bush
e l’ipocrisia bigotta delle masse. Ma cantante solo
al centro del palco (nonostante il concerto sia organizzato
con i collaboratori di sempre e gran parte dei propri familiari
e amici). E soprattutto uomo. E’ la figura di uomo che
preme più a Demme ancor prima di quella di artista.
E non a caso la macchina da presa si sofferma principalmente
sul volto ormai invecchiato di Young mettendo in luce il suo
lato umano piuttosto che la sua performance musicale. E’
un uomo nuovo questo Young. In pace con se stesso e con gli
altri. Figlio non più (e non solo) dell’America
della contestazione ma della pacificazione intima ed individuale.
E’ come se A Straight Story
di David Lynch venisse portata in scena in forma di canzone
sul palco di Nashville. Una sorta di inno alla morte. Nel
2005 a Young era stato diagnosticato un aneurisma cerebrale
(curato poi con successo grazie ad un tempestivo intervento
chirurgico) e nello stesso anno gli era venuto a mancare anche
il vecchio padre. Non è un caso che il concerto alterni
canzoni del vecchio repertorio di Young a pezzi nuovi dell’ultimo
album “Prairie Wind” nato in concomitanza con
i due momenti tragici della sua vita. E che il film si chiuda
proprio con Young che una volta cantata “The Old Laughing
Lady” (la vecchia signora che ride, la morte appunto)
ripone nella custodia la sua inseparabile chitarra, si alza
e se ne va.
Un peccato che in Italia questo struggente documentario sia
uscito in due sole copie(!!!) riducendo inevitabilmente la
sua visibilità a privilegio per pochi e fortunati spettatori.
Da recuperare assolutamente. Sia per i fan accaniti dell’artista
sia per chi non sa neppure chi è Neil Young. [marco
catola]