Mongol
id.
Regia
Sergei Bodrov
Sceneggiatura
Arif Aliyev, Sergei Bodrov
Fotografia
Sergei Trofimov, Rogier Stoffers
Montaggio
Zach Staenberg, Valdis Oskarsdottir
Scenografia
Dashi Namdakov
Costumi
Karin Lohr
Musica
Tuomas Kantelinen
Interpreti
Tadanobu Asano, Honglei Sun, Khulan Chuluun, Odnyam Odsuren, Aliya, Amadu Mamadakov
Produzione
CTB Film Company, Andreevskiy Flag Film Company
Anno
2007
Nazione
Germania, Kazakhstan, Russia, Mongolia
Genere
storico
Durata
120'
Distribuzione
Bim Distribuzione
Uscita
09-05-2008
Giudizio
Media

Genghis Khan è stato uno dei più famosi condottieri della storia, colui che ha conquistato metà del pianeta, creando lo sconfinato Impero Mongolo.

In questa sua straordinaria epopea storica, il regista russo premio Oscar Sergei Bodrov (Il prigioniero del Caucaso) racconta la vita e la leggenda di Gengis Khan. Basato su autorevoli documenti storici e scritto da Bodrov con Arif Aliyev, Mongol ripercorre i drammatici e tormentati primi anni del sovrano nato nel 1162 col nome di Temugin - dalla sua difficile infanzia, fino alla battaglia che segnerà il suo destino - facendone un ritratto complesso che lo dipinge non più come lo spietato mostro dello stereotipo, ma come un nobile condottiero impavido e visionario. Mongol racconta la storia di un uomo straordinario, svelandoci il fondamento su cui poggiava gran parte della sua grandezza: il rapporto con la moglie Borte - grande amore della sua vita, e sua più fidata consigliera.

Girato nei veri luoghi che hanno dato i natali a Gengis Khan, Mongol ci trasporta in un periodo lontano ed esotico della storia del mondo, in paesaggi nomadi fatti di spazi infiniti, estremi climatici e pericoli sempre in agguato. Con una interpretazione di grande compostezza e sottigliezza, il giovane e apprezzato attore giapponese Asano Tadanobu (Zatoichi, Last Life in the Universe) riesce a cogliere quel fuoco interiore che permetterà a un giovane fuggiasco di diventare un conquistatore leggendario. Non meno efficaci sono i suoi comprimari, tra cui spiccano la splendida esordiente Khulan Chuluun nel ruolo della coraggiosa e volitiva moglie di Temugin, Borte, e l’attore cinese Honglei Sun (La strada verso casa) nel ruolo del capitano mongolo Jamukha, il miglior amico di Temugin, e insieme il suo più letale nemico. Mescolando magistralmente azione e sentimenti, sullo sfondo di una natura aspra e selvaggia, Bodrov racconta una storia emozionante e sconvolgente di sopravvivenza e vittoria, e insieme un amore senza tempo.

NOTE DI PRODUZIONE

Cresciuto nella ex-Unione Sovietica, il cineasta russo Sergei Bodrov ha conosciuto per la prima volta Gengis Khan sui banchi di scuola. La Russia è stata uno dei tanti paesi conquistati dai Mongoli, che hanno invaso il paese per la prima volta nel 1222, sotto la guida del nipote di Gengis Khan, Batu. “I russi hanno vissuto sotto la dominazione mongola per oltre 200 anni”, osserva Bodrov. “Nei nostri testi di storia, Gengis Khan veniva raffigurato come un mostro. Quei libri erano il prodotto dei tempi, certo, e le descrizioni erano decisamente rozze e semplicistiche.”

Negli anni ’90, il regista ha “La leggenda della freccia nera”, un libro sui mongoli e turchi, scritto dall’eminente storico russo Lev Gumilev. Il libro di Gumilev proponeva un ritratto più sfumato di Gengis Khan, che ha fatto venire voglia a Bodrov di saperne di più dell’uomo nato come Temugin, nel 1162. Nel 2000, Bodrov aveva aggiunto un film sulla vita di Gengis Khan alla sua lista di progetti da realizzare. “Mi interessa sempre prendere un personaggio famoso e approfondire la sua storia, prendere un cliché e scoprire com’era veramente. Mi sono chiesto: se era davvero un uomo tanto malvagio, accusato di aver ucciso milioni di persone, come è successo? Come è diventato Gengis Khan?”, continua il regista. “Della sua infanzia non si sapeva nulla. Ho scoperto che era orfano di padre, che era uno schiavo, che tutti volevano ucciderlo; gli avevano rapito la moglie, e quano era riuscito a liberarla, lei era incinta. A quel punto, ho capito di avere per le mani la storia avvincente di un personaggio straordinario.”

Bodrov ha dedicato diversi anni a documentarsi, leggendo tutto quello che è riuscito a trovare su Gengis Khan. I testi accademici sono basati in larga parte su congetture, perché non esiste una biografia di Gengis Khan dell’epoca. L’unica storia mongola risalente a quel periodo storico è “La storia segreta dei Mongoli”, un lungo poema scritto da un autore ignoto qualche tempo dopo la morte di Temugin, avvenuta nel 1227. Per secoli, si era pensato che “La storia segreta dei Mongoli” fosse andata perduta, finché una copia non è stata ritrovata in Cina nell’800.

Nel 2004, Bodrov ha cominciato a lavorare alla sceneggiatura con Arif Aliyev, con cui aveva già realizzato Il prigioniero del Caucaso. Il regista continuava ad essere affascinato dal libro di Gumilev, secondo il quale “La storia segreta dei Mongoli” era anzitutto un’opera letteraria prima che un documento storico. “Non voglio dire che Gumilev fosse scettico, ma si era fatto una sua idea di quel testo”, spiega Bodrov. “E’ chiaro che il suo autore non era troppo accurato: alcune parti del testo sono molto emotive. Certo, quando scrivi un poema, a volte i versi sono più importanti dei fatti. Non puoi pensare che un poema sia storicamente accurato al 100%. Per Gumilev, ‘La storia segreta dei Mongoli’ non era un libro sacro – ho utilizzato molte delle sue ipotesi sulle lacune temporali di quel libro. Per esempio, c’è un buco di 10 anni nella vita di Gengis Khan: all’improvviso, Temugin scompare e nessuno sa che cosa gli sia successo o dove sia. Gumilev ha ipotizzato che fosse stato catturato, forse imprigionato. Mi sembrava perfetto per la storia, tanto che nel mio film Temugin trascorre molti anni nella prigione di Tangut.”

La sceneggiatura di Mongol ripercorre la nascita e l’ascesa di uno degli uomini più potenti che l’umanità abbia mai conosciuto. Ma è anche – e forse soprattutto – una grande storia d’amore. Anche qui, l’amore tra Temugin e la sua prima moglie Borte sarà probabilmente una sorpresa per la gran parte degli spettatori, com’è stata per Bodrov. “E’ una storia incredibile e, anche questa, sconosciuta. Un bambino di 9 anni sceglie la sua futura sposa e, anche se ancora non lo sa, la sua vita cambierà per sempre”, spiega il regista. “Naturalmente, alla fine della sua vita Gengis Khan aveva avuto centinaia di mogli, ma la donna più importante è sempre rimasta Borte. Lei non è stata solo sua moglie, è stata anche la sua più stretta collaboratrice e consigliera: Temugin discuteva con lei tutte le decisioni più difficili. Il loro era un rapporto molto moderno, di complicità. Un tipo di rapporto che non è comune neppure ai giorni nostri, ma che all’epoca era addirrittura impensabile!”

Quando Borte aveva partorito il suo primo figlio, Dzuchi, erano circolate voci sulla paternità del bambino – molti ritenevano che fosse stato concepito nel periodo in cui Borte era prigioniera dei Merkit. Bodrov osserva che Temugin si è comportato come pochi dei suoi contemporanei avrebbero fatto - un altro elemento sottolineato dal film: “Fin dall’inizio, ha dichiarato: ‘E’ mio figlio’. E ha sempre trattato Dzuchi come un figlio suo.”

Le riprese di Mongol sono cominciate nel 2005 e si sono svolte nelle zone più remote di Cina, Kazakhstan e Mongolia – terre che facevano parte dell’impero mongolo, con quelle steppe e foreste sconfinate in cui era cresciuto il giovane Temugin. Il film ricostruisce la vita delle tribù nomadi mongole del XII secolo, attraversando quelle regioni a cavallo, spostandosi con le stagioni e allestendo accampamenti compatti ed efficienti, con immense mandrie di bestiame al seguito. Questo stile di vita pastorale sopravvive in alcune parti dell’attuale Mongolia, dove ancora si trovano nomadi che fanno una vita non molto diversa da quella dei loro antenati.

Bodrov dichiara di dovere molto a Dashi Namdakov, architetto-scenografo del film, che lo ha aiutato a orientarsi in una cultura tanto diversa. Scultore di fama internazionale, Namdakov è del Buryat, una regione russa confinante con la Mongolia, che ospita una vasta popolazione di etnia mongola. “Dashi conoce molto bene la cultura mongola”, commenta Bodrov, “e aveva la chiave giusta per affrontare questo film. Per lui, Gengis Khan era un argomento molto serio. Mi ha detto. ‘Sergei, prima di cominciare le riprese dobbiamo andare dal capo sciamano della Mongolia, e devi chiedergli il permesso di fare questo film.’ A me è sembrata una buona idea, perché gli sciamani erano molto importanti a quell’epoca e i mongoli credono che Gengis Khan sia stato il più potente degli sciamani.”

Decimato nell’era sovietica, lo sciamanismo è tornato in auge in Mongolia, dove attualmente convive con la religione predominante che è il buddhismo. Bodrov e Namdakov hanno fatto visita al capo sciamano del paese, che vive nella capitale, Ulan Bator. “La sua tenda si trova nella piazza principale, dove la gente può andare a parlargli”, riferisce Bordov. “Siamo andati a trovarlo e gli abbiamo spiegato quello che volevamo fare. Abbiamo portato delle offerte, e fatto tutto secondo la tradizione. Lui ci ha detto: ‘Sapete, in molti hanno pensato di fare un film su Gengis Khan – giapponesi, americani… Ma voi siete stati i premi a venire a chiedermi il permesso. E avete fatto bene.’”

Mongol è stato girato in alcuni dei luoghi più isolati della terra – spesso la città più vicina era a 12, anche 15 ore di viaggio in auto, e lungo strade accidentate e rudimentali. La modernità era lontana, e la troupe ha sempre cercato di rispettare le antiche usanze sciamaniche, ogni volta che si fermava su un territorio mongolo, andando a visitare i luoghi di culto riservati a richieste e offerte. Racconta Bodrov: “Portavamo le offerte e dicevamo: ‘Veniamo con buone intenzioni. Chiediamo agli spiriti se possiamo lavorare qui.’ E secondo me abbiamo fatto bene, perché era un film molto difficile da realizzare. A volte, non so neanch’io come abbiamo fatto a sopravvivere. Forse proprio perché abbiamo seguito gli usi locali. Come dice il proverbio - A Roma, fai come fanno i romani. Ci trovavamo in un altro paese, completamente diverso dal nostro, e dovevamo lavorare con gente diversa da noi. Gente che seguiva certe credenze. Io credo che abbiano apprezzato il fatto che cercassimo di rispettare le loro tradizioni.”