Genghis
Khan è stato uno dei più famosi condottieri
della storia, colui che ha conquistato metà del pianeta,
creando lo sconfinato Impero Mongolo.
In
questa sua straordinaria epopea storica, il regista russo
premio Oscar Sergei Bodrov (Il prigioniero del Caucaso) racconta
la vita e la leggenda di Gengis Khan. Basato su autorevoli
documenti storici e scritto da Bodrov con Arif Aliyev, Mongol
ripercorre i drammatici e tormentati primi anni del sovrano
nato nel 1162 col nome di Temugin - dalla sua difficile infanzia,
fino alla battaglia che segnerà il suo destino - facendone
un ritratto complesso che lo dipinge non più come lo
spietato mostro dello stereotipo, ma come un nobile condottiero
impavido e visionario. Mongol racconta la storia di un uomo
straordinario, svelandoci il fondamento su cui poggiava gran
parte della sua grandezza: il rapporto con la moglie Borte
- grande amore della sua vita, e sua più fidata consigliera.
Girato
nei veri luoghi che hanno dato i natali a Gengis Khan, Mongol
ci trasporta in un periodo lontano ed esotico della storia
del mondo, in paesaggi nomadi fatti di spazi infiniti, estremi
climatici e pericoli sempre in agguato. Con una interpretazione
di grande compostezza e sottigliezza, il giovane e apprezzato
attore giapponese Asano Tadanobu (Zatoichi, Last Life in the
Universe) riesce a cogliere quel fuoco interiore che permetterà
a un giovane fuggiasco di diventare un conquistatore leggendario.
Non meno efficaci sono i suoi comprimari, tra cui spiccano
la splendida esordiente Khulan Chuluun nel ruolo della coraggiosa
e volitiva moglie di Temugin, Borte, e l’attore cinese
Honglei Sun (La strada verso casa) nel ruolo del capitano
mongolo Jamukha, il miglior amico di Temugin, e insieme il
suo più letale nemico. Mescolando magistralmente azione
e sentimenti, sullo sfondo di una natura aspra e selvaggia,
Bodrov racconta una storia emozionante e sconvolgente di sopravvivenza
e vittoria, e insieme un amore senza tempo.
NOTE DI PRODUZIONE
Cresciuto
nella ex-Unione Sovietica, il cineasta russo Sergei Bodrov
ha conosciuto per la prima volta Gengis Khan sui banchi di
scuola. La Russia è stata uno dei tanti paesi conquistati
dai Mongoli, che hanno invaso il paese per la prima volta
nel 1222, sotto la guida del nipote di Gengis Khan, Batu.
“I russi hanno vissuto sotto la dominazione mongola
per oltre 200 anni”, osserva Bodrov. “Nei nostri
testi di storia, Gengis Khan veniva raffigurato come un mostro.
Quei libri erano il prodotto dei tempi, certo, e le descrizioni
erano decisamente rozze e semplicistiche.”
Negli
anni ’90, il regista ha “La leggenda della freccia
nera”, un libro sui mongoli e turchi, scritto dall’eminente
storico russo Lev Gumilev. Il libro di Gumilev proponeva un
ritratto più sfumato di Gengis Khan, che ha fatto venire
voglia a Bodrov di saperne di più dell’uomo nato
come Temugin, nel 1162. Nel 2000, Bodrov aveva aggiunto un
film sulla vita di Gengis Khan alla sua lista di progetti
da realizzare. “Mi interessa sempre prendere un personaggio
famoso e approfondire la sua storia, prendere un cliché
e scoprire com’era veramente. Mi sono chiesto: se era
davvero un uomo tanto malvagio, accusato di aver ucciso milioni
di persone, come è successo? Come è diventato
Gengis Khan?”, continua il regista. “Della sua
infanzia non si sapeva nulla. Ho scoperto che era orfano di
padre, che era uno schiavo, che tutti volevano ucciderlo;
gli avevano rapito la moglie, e quano era riuscito a liberarla,
lei era incinta. A quel punto, ho capito di avere per le mani
la storia avvincente di un personaggio straordinario.”
Bodrov
ha dedicato diversi anni a documentarsi, leggendo tutto quello
che è riuscito a trovare su Gengis Khan. I testi accademici
sono basati in larga parte su congetture, perché non
esiste una biografia di Gengis Khan dell’epoca. L’unica
storia mongola risalente a quel periodo storico è “La
storia segreta dei Mongoli”, un lungo poema scritto
da un autore ignoto qualche tempo dopo la morte di Temugin,
avvenuta nel 1227. Per secoli, si era pensato che “La
storia segreta dei Mongoli” fosse andata perduta, finché
una copia non è stata ritrovata in Cina nell’800.
Nel 2004,
Bodrov ha cominciato a lavorare alla sceneggiatura con Arif
Aliyev, con cui aveva già realizzato Il prigioniero
del Caucaso. Il regista continuava ad essere affascinato dal
libro di Gumilev, secondo il quale “La storia segreta
dei Mongoli” era anzitutto un’opera letteraria
prima che un documento storico. “Non voglio dire che
Gumilev fosse scettico, ma si era fatto una sua idea di quel
testo”, spiega Bodrov. “E’ chiaro che il
suo autore non era troppo accurato: alcune parti del testo
sono molto emotive. Certo, quando scrivi un poema, a volte
i versi sono più importanti dei fatti. Non puoi pensare
che un poema sia storicamente accurato al 100%. Per Gumilev,
‘La storia segreta dei Mongoli’ non era un libro
sacro – ho utilizzato molte delle sue ipotesi sulle
lacune temporali di quel libro. Per esempio, c’è
un buco di 10 anni nella vita di Gengis Khan: all’improvviso,
Temugin scompare e nessuno sa che cosa gli sia successo o
dove sia. Gumilev ha ipotizzato che fosse stato catturato,
forse imprigionato. Mi sembrava perfetto per la storia, tanto
che nel mio film Temugin trascorre molti anni nella prigione
di Tangut.”
La sceneggiatura
di Mongol ripercorre la nascita e l’ascesa di uno degli
uomini più potenti che l’umanità abbia
mai conosciuto. Ma è anche – e forse soprattutto
– una grande storia d’amore. Anche qui, l’amore
tra Temugin e la sua prima moglie Borte sarà probabilmente
una sorpresa per la gran parte degli spettatori, com’è
stata per Bodrov. “E’ una storia incredibile e,
anche questa, sconosciuta. Un bambino di 9 anni sceglie la
sua futura sposa e, anche se ancora non lo sa, la sua vita
cambierà per sempre”, spiega il regista. “Naturalmente,
alla fine della sua vita Gengis Khan aveva avuto centinaia
di mogli, ma la donna più importante è sempre
rimasta Borte. Lei non è stata solo sua moglie, è
stata anche la sua più stretta collaboratrice e consigliera:
Temugin discuteva con lei tutte le decisioni più difficili.
Il loro era un rapporto molto moderno, di complicità.
Un tipo di rapporto che non è comune neppure ai giorni
nostri, ma che all’epoca era addirrittura impensabile!”
Quando
Borte aveva partorito il suo primo figlio, Dzuchi, erano circolate
voci sulla paternità del bambino – molti ritenevano
che fosse stato concepito nel periodo in cui Borte era prigioniera
dei Merkit. Bodrov osserva che Temugin si è comportato
come pochi dei suoi contemporanei avrebbero fatto - un altro
elemento sottolineato dal film: “Fin dall’inizio,
ha dichiarato: ‘E’ mio figlio’. E ha sempre
trattato Dzuchi come un figlio suo.”
Le riprese
di Mongol sono cominciate nel 2005 e si sono svolte nelle
zone più remote di Cina, Kazakhstan e Mongolia –
terre che facevano parte dell’impero mongolo, con quelle
steppe e foreste sconfinate in cui era cresciuto il giovane
Temugin. Il film ricostruisce la vita delle tribù nomadi
mongole del XII secolo, attraversando quelle regioni a cavallo,
spostandosi con le stagioni e allestendo accampamenti compatti
ed efficienti, con immense mandrie di bestiame al seguito.
Questo stile di vita pastorale sopravvive in alcune parti
dell’attuale Mongolia, dove ancora si trovano nomadi
che fanno una vita non molto diversa da quella dei loro antenati.
Bodrov
dichiara di dovere molto a Dashi Namdakov, architetto-scenografo
del film, che lo ha aiutato a orientarsi in una cultura tanto
diversa. Scultore di fama internazionale, Namdakov è
del Buryat, una regione russa confinante con la Mongolia,
che ospita una vasta popolazione di etnia mongola. “Dashi
conoce molto bene la cultura mongola”, commenta Bodrov,
“e aveva la chiave giusta per affrontare questo film.
Per lui, Gengis Khan era un argomento molto serio. Mi ha detto.
‘Sergei, prima di cominciare le riprese dobbiamo andare
dal capo sciamano della Mongolia, e devi chiedergli il permesso
di fare questo film.’ A me è sembrata una buona
idea, perché gli sciamani erano molto importanti a
quell’epoca e i mongoli credono che Gengis Khan sia
stato il più potente degli sciamani.”
Decimato
nell’era sovietica, lo sciamanismo è tornato
in auge in Mongolia, dove attualmente convive con la religione
predominante che è il buddhismo. Bodrov e Namdakov
hanno fatto visita al capo sciamano del paese, che vive nella
capitale, Ulan Bator. “La sua tenda si trova nella piazza
principale, dove la gente può andare a parlargli”,
riferisce Bordov. “Siamo andati a trovarlo e gli abbiamo
spiegato quello che volevamo fare. Abbiamo portato delle offerte,
e fatto tutto secondo la tradizione. Lui ci ha detto: ‘Sapete,
in molti hanno pensato di fare un film su Gengis Khan –
giapponesi, americani… Ma voi siete stati i premi a
venire a chiedermi il permesso. E avete fatto bene.’”
Mongol
è stato girato in alcuni dei luoghi più isolati
della terra – spesso la città più vicina
era a 12, anche 15 ore di viaggio in auto, e lungo strade
accidentate e rudimentali. La modernità era lontana,
e la troupe ha sempre cercato di rispettare le antiche usanze
sciamaniche, ogni volta che si fermava su un territorio mongolo,
andando a visitare i luoghi di culto riservati a richieste
e offerte. Racconta Bodrov: “Portavamo le offerte e
dicevamo: ‘Veniamo con buone intenzioni. Chiediamo agli
spiriti se possiamo lavorare qui.’ E secondo me abbiamo
fatto bene, perché era un film molto difficile da realizzare.
A volte, non so neanch’io come abbiamo fatto a sopravvivere.
Forse proprio perché abbiamo seguito gli usi locali.
Come dice il proverbio - A Roma, fai come fanno i romani.
Ci trovavamo in un altro paese, completamente diverso dal
nostro, e dovevamo lavorare con gente diversa da noi. Gente
che seguiva certe credenze. Io credo che abbiano apprezzato
il fatto che cercassimo di rispettare le loro tradizioni.”