Il maestro
della letteratura del terrore, Stephen King, viene nuovamente
riproposto al cinema. Autore dell’operazione è
il regista e produttore Frank Darabont, che già si
era cimentato con i testi dello scrittore portando sul grande
schermo Le ali della libertà
e Il miglio verde. Questa volta
però, la riduzione cinematografica tocca a un racconto
minore dal titolo Nebbia (nel
titolo è contenuta già la eco dell’immaginario
horror), appartenente alla raccolta Scheletri
del 1985. Gli elementi del racconto, le dinamiche e le tematiche,
sono quelle ricorrenti nell’universo letterario di King:
la minaccia proveniente dall’ignoto, un nucleo di uomini
costretti a vivere in una condizione di pericolo, il microcosmo
sociale che lentamente muta il suo comportamento verso uno
stato primordiale.
Un piccolo paese vicino a New York, in seguito ad una tempesta,
viene letteralmente circondato da una coltre di nebbia fitta.
Alcune persone, si ritrovano intrappolate in un supermercato
da questa foschia quando scoprono che nasconde qualcosa di
soprannaturale e terrificante. Il panico porterà parte
del gruppo a interpretare questo fenomeno come atto di una
volontà divina.
Il film riesce a banalizzare ogni spunto interessante della
storia. Non restituisce il ritmo del racconto, ben scritto
e coinvolgente, ne lo spessore dei personaggi. Darabont non
si allontana da un prodotto di serie B, anche nelle “trovate
di genere”, spesso il risultato della messa in scena
è involontariamente esilarante.
Non sembra voler sfruttare neanche il facile riferimento al
film di John Carpenter The Fog,
eccezion fatta per un piccolo riferimenti al Maestro piazzato
all’inizio del film (la locandina di “The Thing”).
La debolezza della messa in scena e della caratterizzazione
dei personaggi porta lo spettatore affezionato a chiedersi
che fine abbia fatto il regista di “Le
ali della libertà, uno dei migliori, forse,
interpreti dei testi di King.
Troppa è la distanza tra questo film e le pellicole
precedenti. Riporta alla mente, per la realizzazione, la trasposizione
televisiva di un altro racconto del maestro del terrore The
Langoliers, tratto da “Quattro dopo mezzanotte”
del 1995.
Un B-movie, in sostanza, che regala qualche scena horror girata
bene e di effetto per gli appassionati, ma che non porta lo
spettatore a vivere la claustrofobica e terrificante situazione
in cui sono calati i protagonisti.
Da antologia il personaggio della predicatrice, che declama
passi del vecchio testamento, accesa da un infuocato furore
religioso. Il finale, per nulla scontato, comunque non da
un chiaro segno delle intenzioni dell’autore. A cosa
abbiamo assistito? [andrea pirrello]
Note
di produzione
Nel
1977 quello che è oggi un leggendario scrittore, Stephen
King, godeva dei suoi primi successi e desiderava fare qualcosa
per sdebitarsi nei confronti della fortuna.
Durante uno spettacolo in sostegno di altri artisti emergenti
accordò a studenti di cinema e aspiranti registi il
permesso di adattare i suoi racconti al costo di un dollaro.
Nei primi anni ‘80, Frank Darabont scrisse, produsse
e diresse uno di questi:“Dollar Babies”. A King
piacque molto la versione per lo schermo fatta dall’allora
ventitreenne Darabont di The Woman in the Room, il racconto
breve di King su una donna colpita da un male incurabile che
va in cerca della morte.
“C’è qualcosa nella voce di Stephen come
narratore che ha trovato sempre un’eco in me”
spiega Darabont, che è cresciuto a Los Angeles. “Il
suo lavoro mi parla; i suoi personaggi mi parlano. E’
un maestro della narrazione, e le sue cose mi mettono KO.
Mi fa venire voglia di mettermi dietro la macchina da presa”.
Darabont è rimasto affascinato da The
Mist per diverse ragioni. “King descrive il quadro
d’insieme particolarmente bene” afferma. “Mi
è piaciuto leggere questa specie di disintegrazione
della società, tipo ‘Signore delle mosche’,
che si verifica quando le persone vengono messe sotto pressione
dalla paura”.
Dopo aver girato Woman in the Room, il suo debutto come regista
e sceneggiatore, Darabont ha sceneggiato o co-sceneggiato
film come Nightmare 3 – I guerrieri del sogno, Il fluido
che uccide - Blob e La mosca 2, oltre ad episodi per le serie
televisive Tales from the Crypt (Racconti di mezzanotte) e
Le avventure del giovane Indiana Jones. Uno dei racconti brevi
di King da lui preferiti, The Mist,
continuava a restare da parte.
“Ho amato The Mist da quando
l’ho letto nel 1980 in ‘Dark Forces’, un’antologia
pubblicata da Kirby McCauley” ricorda Darabont.A vrebbe
potuto essere il primo film di Darabont. “Ricordo che
ero seduto sul set del primo film al quale ho lavorato come
sceneggiatore, Nightmare 3, nel
1986, e pensavo che, dato che la mia carriera come scrittore
aveva preso il via, avrei potuto cominciare a pensare a cosa
avrei potuto provare a dirigere” ricorda Darabont. “Siccome
gli era piaciuto il mio corto, pensavo di tornare da Stephen
e chiedergli i diritti di The Mist
o di The Shawshank Redemption”.
Dopo essersi sentito combattuto per un po’, Darabont
scelse Shawshank (Le ali della libertà)
e il resto è storia (da Oscar).
Elogiato dalla critica e apprezzato dal pubblico, Le ali della
libertà, uscito in sala nel 1994, è oggi uno
dei film più amati del XX° secolo. “Le ali
della libertà uscì e ottenne sette candidature
agli Academy Awards.
La pressione ha continuato a crescere con i due film successivi
di Darabont. Mentre opzionava The Mist
nel 1995, faceva seguire a Le ali della libertà un
altro adattamento da King e un’altra candidatura a miglior
film, con Il miglio verde interpretato
da Tom Hanks nel 1999, e The Majestic,
interpretato da Jim Carrey nel 2001.