New York,
ai nostri giorni. All’interno di un ufficio postale,
un impiegato tira fuori una pistola di fabbricazione tedesca
risalente alla Seconda Guerra Mondiale e fa fuoco contro un
inerme avventore.
Un omicidio inspiegabile da parte di un ex veterano della
Guerra, insignito di alte onorificenze, con una testa marmorea
del Quattrocento fiorentino nascosta nello sgabuzzino del
suo umile appartamento. Frammenti di una storia sparsi in
maniera disordinata, che attraverso un lungo flashback vanno
a ricomporsi molto lentamente sotto i nostri occhi, durante
l’anno del signore 1944 in Toscana.
Qui seguiamo le vicende di quattro soldati americani appartenenti
alla 92a Divisione “Buffalo Soldiers”, reparto
dell’esercito composto interamente da afro-americani,
guidati da ufficiali bianchi e razzisti, per testare le capacità
belliche della razza nera in combattimento, in particolare
in fanteria.
Tratto dall'omonimo romanzo di James McBride incentrato sulla
strage nazista di Sant’Anna di Stazzema in cui morirono
560 civili indifesi, dove la'utore ipotizza un possibile coinvolgimento
di partigiani traditori contro la verità storica he
attribuisce l'eccidio alla follia terrorista nazista, Miracolo
a Sant’Anna racconta la quotidianità del
conflitto bellico attraverso le vicende di quattro soldati
americani, persi sull’Appennino Toscano dopo una sanguinosa
battaglia nella Val di Serchio lungo il Canale di Cinquale.
Il sergente di brigata Aubrey Stamps Stamps, un laureato molto
istruito, che ha fiducia nel Sistema americano, ma è
anche deluso. E’ profondamente diviso su quale sia (o
dovrebbe essere) il suo posto e quello dei neri nella società
americana; Bishop Cummings, un truffatore, un gran parlatore
e un donnaiolo. Non gli interessano gli uomini bianchi e non
è troppo legato ai neri. L’unica cosa che lo
preoccupa è se stesso; Hector Negron, operatore radiofonico,
è un portoricano con la pelle scura, vive a Harlem
e fa parte della cultura nera, quindi si ritrova assegnato
in guerra con i soldati neri; Sam Train un sempliciotto, un
omone dal punto di vista fisico. E’ analfabeta, ma non
stupido, profondamente credente nelle superstizioni tipiche
dei campagnoli in quei tempi.
Spike Lee più che alle vicende belliche, sembra interessato
ai rapporti che in situazioni limite come un conflitto in
una terra straniera, si instaurano tra uomini di diversa etnia,
cultura, estrazione sociale. “Miracolo
a Sant’Anna – ricorda McBride - non è
mai stato scritto come una storia di guerra, ma come una vicenda
su degli esseri umani che devono reagire in momenti di stress
straordinario, cercando comunque di conservare la loro umanità…
Si può anche dire che è un film di guerra, ma
è più che altro una pellicola su un bambino
ed un uomo, sugli americani e gli italiani o su un tedesco
che fa la cosa giusta. E’ una pellicola che parla del
miracolo dell’amore tra gli esseri umani e delle scelte
che compiono quando devono confrontarsi con delle avversità
enormi”. Punto di vista sposato completamente dal regista
Spike Lee: “Quattro uomini rimangono bloccati dietro
alle linee nemiche e fanno amicizia con un giovane ragazzino
italiano ferito e sconvolto. Si ritrovano in un piccolo villaggio,
con dei paesani che non hanno mai visto prima persone di colore.
Così, si parla del modo in cui superano queste barriere,
culturali e linguistiche, e cercano di allearsi per resistere
all’imminente attacco nazista”.
La diffidenza, l’ostilità, un malcelato razzismo
che serpeggia tanto nelle linee tedesche quanto in quelle
italiane e statunitensi, sono elementi che giocano un ruolo
trainante e funzionale alla storia diegetica, che si interseca
con la storia dalla S maiuscola, in cui viene narrata la lotta
partigiana di liberazione, attraverso il personaggio interpretato
dal sempre più bravo Pierfrancesco Favino, nei panni
del partigiano Peppi Grotta, un uomo giovane, ma molto riflessivo,
come lo descrive McBride, che dopo essere stato testimone
di tante atrocità, subisce un cambiamento e diventa
uno dei più spietati, intelligenti e ricercati partigiani
in circolazione. Sebbene non mostri nessuna pietà verso
i suoi nemici, è una persona equilibrata, profondamente
gentile e che combatte per la sua patria, non per uccidere
i tedeschi, ma i nemici. Peccato che non lo si sia approfondito
maggiormente.
Il
registro narrativo scelto dal filmaker americano è
quello di un realismo fantastico, miscelando senza soluzione
di continuità realismo storico con scatti nel campo
dell’immaginifico, della fantasia, dell’irrealtà
condito da coloriture a tratti religiose, in altre superstiziose.
Purtroppo i due registri mal si miscelano l’uno nell’altro
per troppo insistenza su dettagli o aspetti che invece andrebbero
lasciati, come dire, sospesi a germogliare. La durata eccessiva
del film non aiuta insieme ad una sovrabbondanza di personaggi
che entrano ed escono dal film come nella hall di un grande
albergo della Quinta Avenue (uno su tutti quello interpretato
da John Leguizamo).
Un film imperfetto, raramente coinvolgente, che ha suscitato
diverse polemiche in ambienti partigiani, ma che segna solo
l’antipasto in attesa de Il sangue
dei vinti di Michele Soavi prossimamente sugli schermi
ed in anteprima al Festival Internazionale del Film di Roma.
[fabio melandri]