La macchina
del tempo di Hayao Miyazaki si chiama Il
mio vicino Totoro, produzione realizzata più
di venti anni fa, nel 1988 a tre anni dalla nascita del mitico
Studio Ghibli.
Le sorelline Satsuke e Mei (11 anni la prima, 4 la seconda)
si trasferiscono insieme al padre in una nuova casa, in campagna,
in attesa che la madre venga dimessa dal vicino ospedale.
Per le due bambine inizia un viaggo alla scoperta di un nuovo
mondo, abitato da creature fantastiche: dai nerini del buio,
spiritelli della fuliggine che occupano le vecchie case abbandonate,
visibili solo agli occhi dei bambini, a bufi esseri di pelo
di varie dimensioni, tra cui Totoro, una creatura grigia e
morbida dall’aspetto un po’ pittoresco, una sorta
di incrocio tra un orso e un grosso gatto.
Totoro è uno spirito buono della foresta, colui che
porta il vento, la pioggia, la crescita. Vederlo è
un privilegio! Insieme a lui, Satsuke e la piccola Mei vivranno
avventure straordinarie.
Totoro contiene in se gli archetipi di quello che sarà
il cinema di Miyazaki, così legato allo spirito animistico,
inteso sia come anime ovvero cartoon che come gli spiriti
che animano la natura che ci circonda, che vivono parallelamente
al mondo degli uomini e che si rivelano a loro attraverso
gli spiriti più aperti, innocenti, liberi da pregiudizi
e contaminazioni socio-culturali, ovvero i bambini.
Lineare nella sua costruzione, semplice ed artigianale nella
sua realizzazione, Il mio vicino Totoro
respira ancora dei colori pastello realizzati a mano, impregnato
di una morale mai moraleggiante, che nella sua compiaciuta
manifestazione conquista grandi e piccini, riavvicinandosi
ad un cinema che fu ma che dimostra di mantenere intatta anche
una sua modernità assai contemporanea.
Da vedere, riscoprire, amare e conservare.
[fabio
melandri]