Destra
e sinistra; il rosso ed il nero; il fascista ed il comunista;
Accio e Manrico. Elio Germano e Riccardo Scamarcio. Questi
i poli all’interno del quale ondeggia il nuovo film
di Daniele Luchetti, tratto dal romanzo di Antonio Pennacchi
Il fasciocomunista.
Accio (Germano) è la disperazione dei suoi genitori:
scontroso, ribelle, attaccabrighe. Lasciato il seminario dove
era stato mandato da papà e mamma - per i quali “Un
prete in famiglia è sempre comodo” – soffre
la presenza ingombrante del fratello maggiore Manrico (Scamarcio).
Bello, carismatico, amato da tutti, ma altrettanto pericoloso.
In mezzo la fidanzata di Manrico, a cui Accio rimane indelebilmente
sensibile. Una cavalcata nell’Italia nostrana, dalla
piccola provincia di Latina fino a Roma dagli Anni ’60
fino agli Anni ’90, dove sullo sfondo di fatti privati
si staglia la meglio gioventù che dalla lotta politica
e passata a quella armata per diventare oggi opinionisti molto
ricercati.
Daniele Luchetti parte dal privato per darci un quadro del
pubblico, analizza una parte per dipingere il tutto, racconta
della divisione di una famiglia per illustrarci la divisione
di un paese ieri come oggi; un paese diviso in due. “Dal
libro fui catturato dal tono scanzonato del racconto. Poi
lavorando sulla sceneggiatura ed alle riprese ho sentito un
qualcosa di nuovo. Ho cercato di rappresentare personaggi
e situazioni con molto affetto ed un pizzico di nostalgia
per anni in cui la politica era parte della vita collettiva
delle persone – ci dice in regista in conferenza stampa
-. Volevo raccontare un percorso emotivo che ha portato l’Italia
a spaccarsi in due, una spaccatura che passa all’interno
di una famiglia.”
E lo fa attraverso una libertà di messa in scena, una
freschezza di scrittura al servizio di un cast in stato di
grazia a partire dal giovane Accio interpretato dal fulminante
Vittorio Emanuele Propizio (tenetelo d’occhio, please)
per finire alla italo-francese Diane Fleri. Elio Germano e
Riccardo Scamarcio si dividono lo schermo nei panni dei fratelli
protagonisti, in maniera quasi matematica - orologio alla
mano - e rendono una delle loro migliori performance sul grande
schermo. Difficile in particolare per Germano elaborare il
proprio personaggio, vero cardine, motore di azione di tutta
la narrazione: ”Per un attore è importante avvicinarsi
ad un nuovo personaggio senza giudicarlo, cercando di ascoltare
molto e cercando di donargli una tridimensionalità,
sospendendo ogni forma di giudizio. Accio non mi piaceva e
non lo capivo. E’ un personaggio moralmente poco raccomandabile
ma molto sensibile. Un ragazzo in cerca di affetto…”
Affetto e nostalgia, le due chiavi interpretative per una
pellicola che rappresenta una fresca boccata d’ossigeno
allo stantio e polveroso cinema nostrano. [fabio
melandri]