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Anno
2011
Nazione
USA
Genere
sentimentale
Durata
106'
Uscita
18/11/2011
distribuzione
Moviemax |
Regia |
Nicole
Kassell |
Sceneggiatura |
Gren
Wells |
Fotografia |
Russell
Carpenter |
Montaggio |
Stephen
A. Rotter |
Scenografia |
Stuart
Wurtzel
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Costumi |
Ann
Roth |
Musica |
Heitor Pereira |
Produzione |
The
Film Department, Davis Entertainment |
Interpreti |
Kate
Hudson,
Gael Garcia Bernal, Rosemarie Dewitt, Lucy Punch |
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Marley
(Kate Hudson) sembra avere tutto: un lavoro brillante e una
vita piena di amici a New Orleans, un bel cane e un'intensa
vita sessuale senza impegni di sorta. È anche una perfetta
radical chic: fa battute sboccate, va a lavoro in bicicletta
e il suo migliore amico è gay.
Uno spettatore assennato, date le premesse, troverebbe la sua
catarsi solo vedendola rantolare tra atroci dolori e dopo una
decina di minuti viene subito accontentato: alla povera ragazza
viene diagnosticato un gravissimo tumore al colon che le lascia
poco tempo da vivere. Si dà il caso che durante il sonno
indotto dall'anestesia dell'esame medico, le venga data l'opportunità
di incontrare Dio in persona (ovviamente di colore, interpretato
da una imbarazzata e imbarazzante Whoopi Goldberg, che forse
troppo tardi si sarà ricordata che “Una settimana
da Dio è stato già girato ed ha avuto anche un
sequel), che gli concede gli ultimi tre desideri. Dopo aver
scelto di volare e di spendere un milione di dollari, Marley
quasi non trova il coraggio di esprimere il terzo e più
importante: il vero amore. Dio, nella sua infinita pigrizia,
sceglie di non cercare troppo lontano e farà scoccare
la scintilla con il medico dolce e imbranato (Gael Garcia Bernal),
che nello stesso istante sta scandagliando i suoi intestini.
È giusto raccontare una trama così strabordante
soprattutto perchè a dirigere questo script c'è
quella Nicole Kassell che esordì qualche anno fa con
l'ottimo “The Woodsman –
Il segreto”, pellicola che con insolita
sobrietà ed efficacia affrontava il tema della pedofilia.
Qui al contrario c'è un eccesso di tutto che arriva raramente
a bersaglio, visto che la commedia non fa ridere, il lavoro
degli attori, per quanto blasonati, non è privo di pecche
e il dramma è così calcato da apparire stucchevole.
Una legge non scritta dei manuali di sceneggiatura prevede alcune
manovre considerate sleali nei confronti di chi guarda e da
usare con parsimonia, se non si vuol passare per furbi o per
ruffiani; tra di esse vi sono l'insistenza sulle storie tristi
di bambini (rimproverata perfino al grande De Sica, condonata
più tardi a Benigni) e la malattia grave o mortale del
protagonista. La sceneggiatrice ha abusato di quest'ultimo jolly
per tutta la narrazione, giocando su un dramma planetario e
profondo come il cancro con una furbizia e un cinismo fastidiosi.
Resta comunque un insegnamento per la vita di tutti i giorni:
nel recente passato un grazioso labrador di nome Marley veniva
a mancare troppo presto, in un film che portava il suo nome
nel titolo (“Io e Marley”)
e sfidava questo in intenti strappalacrime, il re del reggae
scomparso prematuramente, così come Kate Hudson qui,
sono tutti legati dall'onomastica e da un destino inesorabile.
Se tenete ai vostri cari, su due o quattro zampe, ripiegate
su altri nomi. [emiliano
duroni] |