Lorna
(Arta Dobroshi, promessa del cinema balcanico) è di
origine albanese. Lorna vive in Belgio. Lorna deve avere la
cittadinanza. Lorna accetta il piano ordito da Fabio (Fabrizio
Rongione) per poter diventare belga. Lorna accetta un matrimonio
bianco con Claudy (Jérémie Renier, attore feticcio
dei Dardenne), un tossicodipendente gentile e solo. Lorna
mette da parte i soldi per prendere in affitto un bar con
il ragazzo Sokol (Alban Ukaj), che lavora tra la Germania
e l’Italia. Lorna desidera una vita migliore. Lorna
desidera essere amata. Lorna si arrende…
Conquistando il premio per la migliore sceneggiatura al 61esimo
Festival di Cannes, Luc e Jean-Pierre Dardenne realizzano
un film contemporaneo, incentrato ancora una volta sulla necessità
degli emarginati di inserirsi, di diventare parte integrante
dell’ambiente circostante, ma anche della loro sconfitta.
Nello specifico i fratelli belga parlano di immigrati. Jean-Pierre
Dardenne dichiara: “Si tratta di un film più
complesso, con più trama, più romanzato, rispetto
ai nostri precedenti. Diverse storie si intrecciano tra di
loro. Lorna è un’eroina, ma i personaggi che
le ruotano attorno non sono affatto secondari”. L’indagine
sociale è ancora una volta il loro biglietto da visita
cinematografico. Se la trama della ragazza che desidera la
cittadinanza fa vagamente pensare a Green
Card – Matrimonio di convenienza (Peter Weir,
1990, con Gérard Depardieu e Andie MacDowell), i riferimenti
si fermano qui.
Quello di Lorna è un calvario verso la desolazione
e la sconfitta. L’escamotage finale, da godere durante
la visione stessa, offre uno spunto nuovo al cinema dei due
fratelli. “Si tratta di vedere – racconta Luc
– se la colpa è la chiave per mostrare un’umanità
nuova; ne L’Enfant attraverso
le lacrime di Bruno, in questo film attraverso la follia di
Lorna. Rivelare come l’essere umano ad un certo punto
si arrenda e senta il bisogno di creare un legame non strumentale
ma umano. Siamo più crudeli con Lorna che con Bruno.
Alla fine Lorna ci lascia, lascia la terra”. E non lo
fa nel modo più usuale che ci sia. Girato a spalla,
ma questa volta usando un 35 mm; ne consegue che “la
macchina da presa sia un po’ più pesante, quando
è portata in spalla. Il tempo di reazione è
più accentuato rispetto alla super 16 che utilizziamo
di solito. Questo dà un effetto di forza di inerzia,
come il movimento di una locomotiva”. I vincitori della
Palma d’Oro al Festival di Cannes come miglior film
con “Rosetta” del 1999 e “L’enfant”
del 2005, con “Le silence de Lorna” allargano
il campo di ripresa, dando meno movimento alle immagini e
offrendo un campo medio-lungo. “Volevamo che Lorna e
il suo segreto fossero circondati dalla folla”.
Un cinema spietato, un cinema che trae spunto dalla realtà
circostante. [valentina venturi]