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Anno
2012
Nazione
USA
Genere
drammatico
Durata
137'
Uscita
03/01/2012
distribuzione
Lucky Red |
Regia |
Paul
Thomas Anderson |
Sceneggiatura |
Paul
Thomas Anderson |
Fotografia |
Mihai
Malaimare Jr. |
Montaggio |
Leslie
Jones,
Peter Mcnulty |
Scenografia |
Jack
Fisk,
David Crank |
Costumi |
Mark
Bridges |
Musica |
Jonny Greenwood |
Produzione |
Ghoulardi
Film Company, Annapurna Pictures |
Interpreti |
Joaquin
Phoenix, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams, Laura Dern |
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Anni lontano
da casa a sterminare giapponesi durante la Seconda Guerra
Mondiale per conto della Marina statunitense, Freddie Quell
(Joaquin Phoenix) tornato civile fatica non poco a stare lontano
dall'alcool e a seguire la retta via. Lavori saltuari e continue
peregrinazioni non gli valgono finchè non giunge da
fuggiasco sulla nave di Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman),
sedicente curatore, filosofo, psicoterapeuta a capo di una
setta denominata la Causa. Freddie in principio vestirà
i panni di una bizzarra cavia per gli esperimenti di controllo
della personalità di Dodd, ma col passare del tempo
il loro rapporto si rivelerà più complesso e
intricato e farà luce sui meccanismi che ruotano intorno
alla Causa e avvicinerà inaspettatamente le personalità
dei due protagonisti.
In America, la realizzazione di questo film ha suscitato un
notevole polverone polemico per colpa delle considerevoli
affinità tra la Causa della finzione e la Scientology
di Ron Hubbard, che tanti accoliti vanta nel mondo vip a stelle
e strisce. In realtà, nell'ambientazione e nella realizzazione
il film pare molto legato al precedente “Il
petroliere” quasi a disegnare una sorta
di dittico sulle origini dell'America: nello scegliere epoche
storicamente cruciali (i pionieri di fine '800 lì,
qui il Dopoguerra), il regista sembra voglia cercare i germi
dei due mali che hanno segnato la più grande potenza
mondiale: l'ossessione capitalistica della ricchezza e il
proselitismo e bigottismo religioso. La grandezza e la difficoltà
di entrambe le opere sta nel fatto che non si tratta di film
a tesi, ma che si pretende che il tutto prenda forma dalla
dialettica tra i personaggi.
Freddie Quell, con i suoi modi biechi e irrequieti e il suo
mentore carismatico e gioviale altro non sono se non la più
vivida trasposizione su celluloide dei personaggi di Flannery
O'Connor, la scrittice che con toni eccessivi e iperbolici
ha narrato meglio di chiunque altro la fede e l'affabulazione
intorno ad essa nel secolo scorso, con i suoi caratteri marginali
e spesso repellenti a predicare o cercare l'illuminazione
nel sud degli Stati Uniti. Come in quasi tutti i film di Anderson,
il rapporto tra i due strabordanti e fantastici protagonisti
è pressochè privo d'amore, affetto o empatia,
ma un tentativo di dominio dell'uno sull'altro attraverso
ogni mezzo a disposizione per averne il controllo (fu così
anche quando affrontò direttamente il tema dell'innamoramento
in “Ubriaco d'amore”);
Freddie come molti dei suoi predecessori è solo, ossessivo,
aggressivo e cerca costantemente il contatto fisico con i
suoi interlocutori, sia esso un tocco o una vera e propria
colluttazione, come a voler disegnare un perenne stato di
lotta ed è indubbio che in questa metafora tanto amara
quanto originale Anderson riesca a parlare anche all'attualità.
In cotanta ricchezza di contenuti e sontuosità di messa
in scena (la fotografia del pupillo di Coppola Malaimare,
le musiche ossessive di Jonny Greenwood, la recitazione da
fuoriclasse del cast, a partire da Amy Adams, che al contrario
dei suoi colleghi gioca al risparmio e con la sola postura
rigida e glaciale rende la moglie di Dodd indimenticabile)
non tutto va però completamente per il verso giusto.
Nelle due ore abbondanti di narrazione, l'ossessione tra Freddie
e Dodd diviene anche quella di Anderson per loro, e come in
passato pare quasi che mentre dirige sapientemente, si lasci
trasportare dalla storia e non sia lui a tenerne le redini,
lasciando parzialmente deluse le aspettative che tanta bellezza
prometteva. Non ne esce nessun profondo graffio all'anima
come in altre opere uscite quest'anno e sicuramente molto
più essenziali nella veste artistica, mentre il discorso
sulla setta si limita a ribadire che laddove regna l'incertezza,
la paura, la debolezza, tanto più sarà facile
che il primo delirio arruffato e improvvisato passi per illuminazione
divina.
Ciò detto, resta il fatto che chiunque ami il grande
schermo (grande davvero questa volta, col ritorno della pellicola
a 70 millimetri, resa leggendaria dai film di Hitchcock negli
anni '60, in tutto il suo splendore) non potrà non
perdonare i difetti di questo film ambizioso e straordinariamente
magniloquente e, proprio come un adepto di qualche nuova religione,
restare ancora una volta magicamente ammaliato dall'affabulazione
cinematografica di Anderson.
[emiliano duroni]
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