|
Anno
2011
Nazione
USA
Genere
drammatico
Durata
106'
Uscita
-18/05/2012
Distribuzione
01 Distribution
|
Regia |
J.C.
Chandor |
Sceneggiatura |
J.C.
Chandor |
Fotografia |
Frank
G. Demarco |
Montaggio |
Pete Beaudreau |
Scenografia |
John
Paino |
Costumi |
Caroline Duncan |
Musica |
Nathan Larson |
Produzione |
Myriad
Pictures, Benaroya Pictures, Before the Door |
Interpreti |
Kevin
Spacey,
Paul Bettany,
Jeremy Irons,
Zachary Quinto |
|
Il mondo
moderno,così come è strutturato, si basa su
astrazioni numeriche. Allorquando le cifre iniziano levitare
o a scendere troppo precipitosamente, le paure e le ansie
che ne scaturiscono però non sono per nulla astratte,
perchè mettono in gioco i destini e la stabilità
dell'esistenza di migliaia di persone. Nel 2008 per esempio,
la Lehman Brothers ha mandato in crisi prima Wall Street e
poi l'economia di tutto il mondo bruciando milioni di dollari,
con un po' di superficialità e molta malafede.
Le vicende di questo film si svolgono proprio in quelle ore,
in una holding anonima ma più che reale, e prendono
inizio con il licenziamento di una bella fetta di dipendenti,
incluso un esperto analista di rischio finanziario (Stanley
Tucci). Prima di lasciare l'ufficio però, questi ha
modo di passare a un suo giovane sottoposto (Zachary Quinto)
una pen-drive contenente alcune sue proiezioni a dir poco
inquietanti sul futuro dell'asset della società. Il
giovane porta a termine quell'analisi la notte stessa, tirando
giù dal letto tutti i suoi superiori, fino a chiamare
in causa il Leviatano supremo John Tuld (Jeremy Irons), nella
speranza iniziale di leggere in maniera più ottimistica
quei segnali e poi semplicemente di salvare il salvabile (quasi
sempre il proprio).
Questo avvincente dramma, che si sviluppa quasi per intero
in un grattacielo sullo sfondo dello skyline di Manhattan,
è una produzione indipendente con un cast da kolossal.
Per sua fortuna, prende il meglio di entrambi gli aspetti,
puntando tutto su dialoghi perfettamente congegnati e allo
stesso tempo su interpretazioni da fuoriclasse. Kevin Spacey
nei panni di un direttore del personale combattuto ma capace
di motivare e perorare qualsiasi causa è eccezionale,
così come la raffigurazione dell'amoralità capitalista
resa da Jeremy Irons.
Eppure tutto questo non renderebbe al meglio senza uno script
più vicino al teatro che al cinema (viene quasi rispettata
l'unità di luogo, tempo e azione, la lezione di David
Mamet nel disegnare ombre intorno ad ogni carattere è
ben presente) e uno sguardo lucido e coraggiosamente distaccato,
che non seduce lo spettatore con figure tutte negative o con
elementi di purezza. L'esordiente J.C. Chandor (figlio d'arte,
nel senso che il padre ha lavorato per quarant'anni in Borsa)
ovviamente ricorda bene i due “Wall
Street” di Oliver Stone, ma rinuncia
al carisma luciferino di un Gordon Gekko. Ogni scelta presa
sulla scena è parte di un meccanismo, anche quelle
del giovane Peter Sullivan, che dà il via all'azione
e che man mano salirà i gradi di quel sistema invece
di uscirne, pur vedendone i lati oscuri con i suoi occhi da
neofita; di volta in volta ciascuno è chiamato a prendere
decisioni che sebbene non sempre siano morali, non per questo
prescindono dal conseguimento del bene, che purtroppo (e qui
sta il problema filosofico della questione) anche nell'era
dell'economia globale resta soggettivo.
Unico raggio di luce, il calcolo che l'ormai ex analista Stanley
Tucci fa per ricordare quando era ancora un ingegnere e con
la costruzione di un ponte ha risparmiato il tempo di tante
persone che andavano a lavorare in macchina: ne escono numeri
grandissimi di giorni, ore, minuti passati a fare qualcosa
di meglio che guidare. Che ci sia ancora modo di volgere i
numeri a nostro favore? [emiliano
duroni]
|