Roberta
Torre, regista milanese, abbandonati i toni leggeri, le atmosfere
gioiose, i colori pastello di Tano da
Morire e Sud Side Stori,
si immerge nelle oscure e profonde ombre di Mare
Nero, quarta fatica dopo Angela
(2002) e presentato in concorso all’ultimo Festival
di Locarno.
Un secondo capitolo di quel romanzo volto alla ri-fondazione
del genere thriller/noir dopo il recente La
cura del Gorilla di Carlo A. Sigon con Claudio Bisio.
Luca, un Luigi Lo Cascio stralunato ed fuori parte come solo
in Occhi di cristallo avevamo
avuto modo di “ammirare”, è un giovane
commissario di polizia coinvolto nel caso di omicidio di una
giovane studentessa universitaria, assidua frequentatrice
di locali di scambisti. Ed è in questo ambiente che
Luca intuisce si sia sviluppato l’assassinio.
Come Clint Eastwood in Corda tesa,
inizia per il detective un viaggio di discesa negli inferi
dell’animo umano, entrando a far parte e rimanendo invischiato
come un insetto nella ragnatela in un mondo costruito artificiosamente
su ossessioni, perversioni, paure, desideri. Elementi che
finiscono inesorabilmente per permeare la sua stessa vita
privata, minando il fragile rapporto con Veronica (Anna Mouglalis),
la fidanzata agente immobiliare, da poco trasferitasi da Parigi
per amore.
Ma se Corda tesa aveva l'umiltà di mantenersi sul registro
di film di genere attento alla definizione dei personaggi
ed alla cura dei particolari narrativi, Mare nero ha la presuntuosità
di viaggiare su due registri che continuamente si alternano
l'uno con l'altro finendo per generare una illogicità
di racconto, una incongruenza di rappresentazione, uno spaesamento
recitativo che se ti chiami David Lynch riesci a maneggiare,
controllare, giocare, ma che nel nostro caso genera stordimento
ed incongruenze continue, avvallate da una recitazione catatonica
e monocorde da parte dell'intero cast.
La regia della Torre, più attenta all’estetica
patinata e fine a se stessa dell’immagine che non a
pensieri, parole ed emozioni, porta la pellicola a trascinarsi
per 83 noiosissimi minuti suscitando ilarità tra gli
spettatori con dialoghi e situazioni ai confini di ogni verosimiglianza
possibile. [fabio melandri]