Maradona
nasce a Lanus, precisamente a Fiorito, quartiere povero nei
dintorni di Buenos Aires, nel 1960. A circa nove anni è
già un talento di periferia e fa notizia. Un giornalista
della TV locale si reca al campetto e gli chiede: “Diego
quali sono i tuoi due più grandi desideri?” –
senza indugi risponde “Giocare il mondiale con la maglia
della Nazionale Argentina”. Fermandosi solo al primo
dei desideri il cronista incalza “…e il secondo?”
- “Vincerlo!”.
Diego Armando Maradona nell’afoso Luglio del 1986, quasi
diciassette anni dopo quell’intervista, a Città
del Messico alza la Coppa del Mondo vestendo la maglia che
ha sempre sognato e diventando all’unanimità
il più grande calciatore di tutti i tempi. Detto questo,
tutto il resto è relativo. Potremmo parlare delle sue
drammatiche sventure legate alla droga o di recente all’alcol,
delle sue scappatelle extraconiugali e del suo essere sempre
eccessivo. La storia di Diego Maradona, come calciatore, va
oltre tutto questo, oltre le dicerie benpensanti, oltre il
giornalismo di bassa lega, al di là della vita terrena
che lo relega in un corpo oramai bistrattato da diete e precarietà
quotidiane.
Marco Risi torna alla regia (dopo “Tre mogli”
del 2001) con un film apparentemente facile, vista la popolarità
dell’icona da rappresentare, raccontando la figura dell’asso
argentino attraverso la lente della vita al di qua del terreno
di gioco, ricreando spaccati di vita vissuta tra mura domestiche,
feste e alberghi e lasciando le vere immagini delle azioni
e dei gol che tutti conosciamo (perchè viste in tv)
a fungere da catalizzatore, dando loro il compito di agire
da anello di congiunzione tra le varie scene ed i periodi
di ascesa/discesa dell’astro argentino. Scelta di valutazione
questa senza dubbio sensata e coerente visto l’obiettivo
prefissosi dal regista milanese. La popolarità di Maradona
e i tanti aneddoti “rosa” avrebbero potuto fare
di questo lungometraggio un qualcosa di scontato o di costume
col rischio di strizzare l’occhio al pubblico, accontentando
banali richieste comuni. Prendendo tutti in controtempo invece
Risi gioca la carta dell’intimismo, si appoggia sui
legami familiari, sull’altra faccia del successo. Il
Maradona che ne ricaviamo è un uomo fragile, ingenuo
e a volte presuntuoso, che lo fa tornare coi piedi per terra
senza pallone. Il Diego di Risi deve fare i conti con la vita,
oltre che con il calcio, ed è qui che fa corto circuito.
La Bombonera (lo stadio dell’amato Boca Junior) si accende
di colpo in una notte scura. Un bambino a centrocampo vede
steso sull’erba un uomo sovrappeso, affannoso e impaurito.
Quelle due figure si guardano, timorose. Sono la stessa persona.
Maradona è sempre stato un capitano coraggioso, altruista,
schierato spesso dalla parte dei compagni contro la società
di turno, cosciente di impegni e doveri, morali e sportivi,
mettendo sempre la sua faccia davanti a tutto. In campo non
si risparmiava mai, correva anche per un compagno a corto
di fiato, lo gratificava quando era giusto farlo.
La premura e la dedizione per i genitori, i fratelli e gli
amici che il film esalta è la stessa con la quale Diego
proteggeva i compagni di squadra. Non si atteggiava da prima
donna, anzi, consapevole del proprio valore si prendeva le
sue responsabilità nei confronti di tutti. Maradona
non ha poco più di sedici anni, parla col padre, “Papà
voglio che tu smetta di lavorare, voglio che ti riposi”
– “Perchè?” chiede l’altro
al tramonto sulle dune “Perchè sono tanti anni
che lavori, e adesso posso mantenervi tutti”,.
Il film è incastonato in una cornice che sa di passato,
si apre e si chiude con Maradona bambino, tra i calcinacci
di Fiorito. Un inno allo spirito puro e semplice del campione
di Baires che la vita mondana ha forse sciupato senza rispetto
con le sue tentazioni, rendendo omaggio al gioco del calcio
per quello che è senza l’influenza di sponsor
e ingaggi milionari: un divertimento lungo una vita.
Dalle giovanili dell’Argentinos Junior, passando per
il Boca, fino all’arrivo del primo grande contratto:
il Barcellona. E’ qui che comincia per Diego il periodo
della perdizione, tra “notti brave” sulle Ramblas,
cocaina e donne viziose. Diego capisce di ottenere ciò
che vuole e sarà questo il suo limite, almeno fuori
dal campo: diventa nervoso, dilapida tutti i suoi averi, segue
una vita sregolata e piena di eccessi. Sarà il duro
intervento da dietro di Goikoetxea nella partita con l’Athletic
Bilbao a rompere i sogni all’asso argentino fratturandogli
la caviglia e mettendolo sul punto di andarsene. Il passo
successivo è al sole di Napoli, il periodo più
intenso della vita di Maradona nel bene e nel male (il suo
nome viene anche accostato ingenuamente a qualche famiglia
della camorra, come il film lascia intendere, Pietro Taricone
è appunto un piccolo boss della zona). Ma è
la gente, finalmente, che festeggia, a Napoli. Dopo anni di
delusioni sportive e sociali, dopo la ghettizzazione a livello
economico, l’esclusione dai traffici commerciali del
centro-nord e a dispetto di quel calcio settentrionale spesso
snob e autoreferenziale, arriva un uomo visto come un salvatore.
Napoli, con Maradona, diventa il centro del calcio Mondiale.
Marco Risi per fotografare questo momento storico mette insieme
un montaggio di video, azioni e gol del Pibe de Oro con la
maglia partenopea al ritmo de “Je so pazz’”
di Pino Daniele. Il prezzo del biglietto è pareggiato.
L’emozione che si prova nel rivedere quei gesti tecnici
e quelle perle di meraviglioso calcio a suon di musica è
travolgente.
Il taglio che Risi sceglie per realizzare questo film ricorda
la struttura dello sceneggiato italiano, il film ha una veste
da melodramma di fine anni ’90 ma non è mai pesante
ne noioso, la consequenzialità storica alternata ai
gol e agli eventi è regolare, è piacevole e
si lascia guardare. La recitazione del redivo Marco Leonardi
tuttavia non è tra le migliori, nonostante la somiglianza
di conformazione fisica ci possa stare, l’attore italo-australiano
non è naturale come dovrebbe, appare un po’ forzato
negli atteggiamenti e nelle movenze (è giusto ricordare
inoltre che il film è interamente in castellano e doppiato
in italiano, trattandosi di una co-produzione italo-spagnola.
La più grande caratteristica di Maradona rimane l’istinto
e il Mondiale di Calcio del 1986 in Messico rende omaggio
a questa peculiarità come nessun altro evento ha mai
fatto. Nella semifinale contro gli odiati inglesi (dovuto
alle ruggini per la questione delle isole Folkland) oltre
a segnare il famoso vantaggio con la mano de Dios appunto
(che da il titolo al film) il genio argentino compie un capolavoro,
definito dalla FIFA dopo svariati sondaggi, il gol più
bello della storia del calcio: è circa la metà
della ripresa, Maradona riceve palla sulla propria trequarti
campo e, a detta dello stesso, gli tornano in mente le parole
del fratello minore: “Diego, com’è che
non fai più quei gol incredibili che facevi da ragazzo,
scartando tutti ed entrando in porta col pallone?!”.
Ci sono circa 80 metri all’altra porta, Maradona inizia
il suo affondo eludendo ben sei avversari, portiere compreso
toccando la palla undici volte. In quella corsa verso la rete
Maradona torna bambino, il film di Risi lo capisce e asseconda
la sequenza. Il pallone trai piedi, la voglia di divertirsi
senza pensieri, cocaina, soldi o doveri. Quel gol è
ascritto alla vera essenza di questo sport, per la sua purezza
e il suo alto valore mistico. Perchè il calcio è
molto di più di uno sport, è una magia.
Maradona nel 1994, anno dei Mondiali negli Stati Uniti, è
fuori dal giro della nazionale dopo la squalifica del 1991
che lo vede risultare positivo all’antidoping (cocaina),
ma vi rientra a furor di popolo e per una frase della figlia
“Papà io non ti ho mai visto giocare un mondiale!”.
Perde 15 chili in poco tempo, si allena, torna a sudare. Il
gol che realizza, capolavoro di gioco di squadra contro la
Grecia, è ricordato più per la sua espressione
furiosa verso la telecamera che non per la bellezza di quel
sinistro nel sette. Maradona verrà trovato nuovamente
positivo (stavolta all’efedrina) per cause a lui non
imputabili. E’ la fine. Il film mostra da questo punto
in poi la decadenza di un uomo e di uno sportivo sempre sulla
bocca di tutti, circondato da falsi amici e da troppi soldi.
Alcune figure e alcune vicende nel film sono state poi inserite
per aumentare il livello drammaturgico senza che nella realtà
mai siano apparsi o verificati (Claudia non tornerà
infatti dai genitori in Argentina dopo una rottura con Maradona)
ma l’essenza del personaggio “Diego” c’è
e si sente, e chi ha seguito le sue gesta fin dai primi passi
non avrà difficoltà a metabolizzarla. Una pellicola
sicuramente molto ostica invece per chi Maradona lo conosca
solo per le sue vicende extra calcistiche e i suoi gossip,
non troverà niente per cui essere soddisfatti dalla
proiezione. Un film per molti, ma non per tutti quindi. Si
potrebbero scrivere decine di libri sulla sua vita, sul suo
essere uomo e calciatore.
Sul comportamento del più grande numero dieci mai esistito
si potrebbero scrivere decine di libri e saggi, raccontare
aneddoti e mimare centinaia di gol, e forse non basterebbero.
Una cosa sembra però trovare verità senza obiezioni
e punti di vista, quando Diego varcava la linea laterale che
divide il rettangolo di gioco dalla vita di tutti i giorni,
si trasformava nella più limpida e leale espressione
di questo sport e ritrovava l’unico amico che non lo
ha mai tradito e col quale ha diviso gioie e dolori, l’unica
cosa degna di rischiare la propria vita: il pallone. [alessandro
antonelli]