Cosa succede
quando le tonalità sintetiche del maggiore gruppo pop
Anni Settanta/Ottanta, incontra i colori accesi e le atmosfere
calde ed avvolgenti di un’isola greca persa nel mediterraneo?
Nasce Mamma Mia!, un musical
teatrale tradotto in ben otto lingue, visto da 30 milioni
di spettatori, e rappresentato in 170 città in tutto
il mondo. Musical colorato, scacciapensieri (Let the Joy Wash
Over You) al ritmo dei più famosi successi del gruppo
svedese degli Abba.
La storia, costruita intorno a intramontabili canzoni come
Dancing Queen, Money Money Money, Take A Chance On Me, S.O.S.,
Gimme! Gimme! Gimme! (A Man After Midnight)", Chiquitita
e naturalmente Mamma Mia, ci trasporta nell’incantevole
isola greca di Kalokairi, alla vigilia delle nozze di Sophie
(Amanda Seyfried) figlia di Donna (Meryl Streep) proprietaria
di un incantevole quando decadente hotel Villa Donna, con
il suo fidanzato Sky (Dominic Cooper). Ma l’arrivo di
tre uomini, uno dei quali potrebbe essere il vero padre della
giovane Sophie, movimenterà preparativi e cerimonia
in un girotondo di musica, cibo, balli e viaggi nel passato.
Girato tra teatri di posa di Pinewood (Inghilterra) e le isole
di Skiathos e Skopelos (arcipelago delle Sporadi, Grecia),
Mamma Mia! film si avvale fortemente del suo background teatrale
per ripetere i medesimi successi, a partire dalla regista
Phyllida Lloyd e dal coreografo Anthony Van Laast - “Sia
sul palcoscenico che sullo schermo, ho dovuto ideare una coreografia
basata sulla narrativa e sui personaggi, che sembrasse improvvisata
e spontanea, mentre in realtà è molto strutturata”
– lavorando sulla conservazione di molti movimenti già
presenti a teatro integrandoli con nuove coreografie di danza
pensate per il grande schermo.
Il risultato è una ciambella non completamente riuscita.
Il film funziona e coinvolge nei momenti musicali più
coreografici e di massa, quando movimenti di macchina, montaggio,
musica ed attori formano un ensemble a tratti irresistibile.
Ma il film mostra il suo fiato corto, le sue incertezze nei
molti momenti in cui i numeri musicali sono affidati alla
voce dei singoli interpreti. Se Meryl Streep porta a casa
un dignitoso risultato senza strafare, le voci maschili deludono
non poco a partire da quella di Pierce Brosnam a cui sono
affidati più numeri cantati rispetto agli altri padri
in affitto come Colin Firth e Stellan Skarsgård. Ma
al di là delle voci sono proprio i loro personaggi
a poco amalgamarsi al resto della messa in scena, rigidi,
come extraterrestri catapultati in un mondo che non gli appartiene,
non aiutati da una regia che negli assolo e nel recitato è
incapace di invenzioni visive o spunti da movimentare il racconto
e rendere interessante una storia che è puro pretesto
di racconto.
Quello che poco funziona nella messa in scena del film è
la sua incapacità ad assumere una dimensione prettamente
cinematografica – vedi l’evidente scarto tra riprese
in studio ed esterni - come se la regista volesse staccarsi
dalla matrice teatrale dell’opera più per poca
praticità con il mezzo cinematografico che non per
libera scelta artistica. Questo suo essere ibrido rende poco
fluida la narrazione che procede a singhiozzo, risultando,
fatta eccezione per le scene di massa, per lunghi tratti deludente
nonostante una colonna sonora che fa battere il piedino con
estrema facilità. [fabio
melandri]