Suggerimento
per lo spettatore che si appresta ad assistere alla proiezione
del nuovo film di Andreiw Niccol (sceneggiatore di The
Truman Show e regista di Gattaca
e S1m0ne) Lord of War: sospendete
ogni principio di realtà e verosimiglianza. Solo attraverso
questo complicato e non semplice processo psicologico questo
film assume un minimo di logicità e coerenza.
Mi rendo conto di essermi infilato in un controsenso logico,
sintattico e linguistico ma Lord of War è un oggetto
così incomprensibile, così surreale e grottesco,
pur non sposando uno stile grottesco di cui probabilmente se
ne sarebbe giovato non poco, che rimane difficile spiegare,
raccontare e giustificare.
Nel mondo in cui viviamo, sono in circolazione quasi 700 milioni
di armi e ogni anno altri otto milioni vengono prodotte. Praticamente
nel mondo c’è un’arma ogni 12 persone. La
domanda da porsi è: come facciamo ad armare le altre
11?
Questa è la domanda che si/ci pone Yuri Orlov (Nicolas
Cage) mercante d’armi, fulminato sulla via del piombo
e della polvere da sparo dopo aver assistito ad una sparatoria
tra gangster a Little Odessa, New York City, USA.
Andrei Niccol con uno stile registico compiacente e seducente
mette in scena la storia di questo imirato russo in America
capace di scalare rapidamente la classifica del crimine per
conquistare con estrema facilità ed una forte dose di
inverosimiglianza il tetto del mondo, conservando una innocenza
di fondo che emerge in un paio di dialoghi con il suo più
acerrimo nemico, l’agente dell’Interpol Ethan Hawke,
che come l’Ispettore Zenigata di Lupin ha il pregio di
arrivare sempre un minuto in ritardo di fronte agli eventi criminali
che gli si svolgono sotto il naso.
Sicuramente lodevole è il tentativo di raccontare una
storia sul traffico di armi, le stesse che ogni anno uccidono
almeno 500.000 esseri umani, un traffico sostenuto ed alimentato
da governi come gli Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna,
la Cina e la Russia, paesi che ironicamente hanno un posto fisso
all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Un argomento come questo avrebbe sicuramente meritato una storia
più credibile, forse un documentario alla Michael Moore,
sicuramente più valido alla causa della lotta contro
le armi. Niccol traveste la sua opera di fiction di realtà,
seminando dati e date che potrebbero trarre in inganno tanto
che sui titoli di coda ci si aspetta la classica dicitura “tratto
da una storia vera” o simile. Ma la scritta non appare
sebbene i dati contenuti nel film immaginiamo frutto di ricerche
e rapporti più o meno confidenziali. Il difetto maggiore
del film è quello di mettere troppa carne al fuoco, di
sviluppare i vari passaggi narrativi con troppa leggerezza e
velocità, conditi da dialoghi imbarazzanti e con il difetto
più grande di non raccontarci in vero nulla di nuovo
o nulla che non sia stato meglio raccontato da reportage televisivi.
Un vero peccato perché a livello visivo il film non dispiace
e l’intenzione sulla carta non era da buttare. Niccol
sembra aver perso negli ultimi anni quella capacità di
parlarci della realtà con quel tono leggero e surreale
che tanto avevamo apprezzato sopratutto nei suoi primi lavori
da sceneggiatore. Una crisi creativa che ci auguriamo sia presto
superata per riscoprire quel talento capace di parlarci della
società contemporanea attraverso metafore originali e
messe in scena stranianti.
[fabio melandri]
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