Nessuno
degli Hoover ce l’ha mai veramente fatta, e non perché
non ci abbiano provato.
Richard il capofamiglia, motivatore ottimisticamente senza
speranze, tenta di vendere il suo decalogo per il successo
senza... “successo”; Sheryl, la madre è
assillata dai strani segreti della famiglia e tenta con alterne
fortune di tenere unita la famiglia come fosse dell’Attack
scaduto; suo fratello Frank, studioso di Proust, professore
di filosofia gay ha appena tentato il suicidio perché
mollato dal fidanzato; Olive, sette anni e qualche chilo in
più non dichiarato, occhialuta e saputella mira a diventare
la nuova reginetta del concorso di Little Miss Sunshine; suo
fratello Dwayne adolescente arrabbiato e lettore di Nietzsche,
ha interrotto per un voto i contatti linguistici con il mondo
esterno. Completa la famiglia il nonno, dal linguaggio sboccato
ed alla ricerca dei piaceri edonistici che la vita può
ancora lui riservare, tanto da essere stato cacciato dal pensionato
per anziani a causa di un uso smodato di eroina.
Benvenuti nella moderna famiglia media americana in viaggio
attraverso il continente per il nuovo sogno americano: vincere
il concorso di bellezza riservato a ragazzine adolescenti
trasformate in piccole bambole viventi da genitori ambizioni
e superficiali. La famiglia Hoover si presente subito come
una famiglia americana de-genere, più vicina ai Tenembaum
con tutte le loro problematiche centrifughe ed autodistruttive
che non ai Bradford in quel quadretto rassicurante e traboccante
di buoni sentimenti.
Miss Little Sunshine segna il
debutto alla regia cinematografica della coppia d’oro
del videoclip musicale i coniugi Jonathan Dayton e Valerie
Faris. Registi per REM. Red Hot Chili Peppers, Smashing Pumpkins,
Oasis e Macy Gray, abbandonano i ritmi sincopati e le immagini
distorte ed artefatte del clip musicale per sposare una costruzione
classica del racconto ed un respiro epico degli eventi, sebbene
quotidiani ed insignificanti possano questi apparire. Il tutto
all’interno di una sceneggiatura del debuttante Michael
Arndt ricca di spunti comici venati da una melodrammaticità
latente sulla quale è lasciato libero arbitrio allo
spettatore di soffermarvi o meno.
Un film che più illustrare i valori familiari, ostacolati
da un lessico sboccato e comportamenti non completamente condivisibili,
sottolinea il valore della famiglia, relativizzando concetti
come ‘vincente’ e ‘perdente’: ”Un
vero perdente non è uno che non vince. Un vero perdente
è uno che ha talmente paura di non vincere da non provarci
neanche.” ammonisce l'anziano patriarca. E in una
società altamente competitiva come la nostra, sono
parole da ripetersi ogni mattina prima di incominciare la
giornata. [fabio melandri]