Les amants réguliers
id.
Regia
Philippe Garrell
Sceneggiatura
Philippe Garrell, Arlette Langmann, Marc Cholodenko
Fotografia
William Lubtchansky
Montaggio
Françoise Collin, Alexandre Strass, Philippe Garrell
Musica
Jean-Claude Vannier
Interpreti
Louis Garrel, Clothilde Hesme, Julien Lucas, Mathieu Genet
Anno
2004
Durata
178'
Nazione
Francia/Italia
Genere
drammatico
Distribuzione
Istituto Luce
Nel 1969 un gruppo di giovani si dà all’oppio dopo aver vissuto da protagonisti nelle strade e nei luoghi di incontri e dibattiti il 1968. In seno a questo gruppo sboccia un amore folle tra due ragazzi, un poeta ed una scultrice.
Philippe Garrell discepolo di Godard e Truffaut, racconta una storia per nulla originale attraverso uno stile personale estremo se non militante. Per almeno un’ora in un rigido bianco e nero ci immergiamo nelle strade calde di Parigi nel 1968, viviamo gli scontri tra poliziotti e dimostranti in prima linea, quasi con uno stile documentario se non fosse per quei lunghissimi momenti morti della narrazione che il regista dilata il più possibile, tanto da estendere la durata del film a quasi tre ore di proiezione. Siamo lentamente introdotti all’interno del gruppo di ragazzi da cui poi trae origine il vero nocciolo dell’opera, ovvero l’amore assoluto, tra due giovani, un poeta idealista che seguirà il suo sogno sino al fallimento, ed una giovane scultrice che hai sogni preferirà la pragmaticità della realtà. Un amore fatto di piccoli gesti, lunghe passeggiate, narrate in uno stile che non lascia nulla allo spettacolo, inducendo ad una profonda riflessione per ogni minimo atto, seppur infinitesimale accadimento che vede protagonisti i due ed il gruppo amicale che gli si forma intorno.
Una sorta di The Dreamers francese, desautorato di ogni tentazione ludica, con uno degli stessi protagonisti dell’opera bertolucciana, Louis Garrell figlio del regista, ma assai più radicale e se vogliamo convincente. Un opera che richiede uno sforzo non indifferente per lo spettatore che vi decide di avvicinarsi; sforzo di pazienza – si consigliano poltrone comode e riserva di liquidi brevi mano – e di impegno a tenere alta la concentrazione per cogliere gli innumerevoli dettagli e particolari di cui la storia si va a comporre sotto i nostri occhi. Un’opera difficile per un modo di fare cinema che personalmente non condividiamo ed apprezziamo, ma a cui va riconosciuta un’originalità e coerenza che vanno ad oltranza difesi e salvaguardati. Leone d’Argento per la migliore regia e Osella per il migliore contributo tecnico al Direttore della Fotografia William Lubtchansky.

[fabio melandri]