“Un
thriller psicologico il cui tema è l’attraente
e irreversibile potere del passato, dei segreti, dell’amore
e delle bugie, i quali vengono a galla esigendo la dovuta
attenzione. Ho voluto esaminare il modo in cui un’azione,
a lungo repressa, compiuta dal personaggio principale Sophie
(Susan Sarandon) ritorna, intaccando il suo stato psicologico
e come l’istinto che Sophie ha di proteggere la sua
famiglia, da un lato, ed affrontare l’ indimenticabile
perdita della madre , dall’altro, si vanno a scontrare.
Ispirandomi a Rosemary’s Baby
di Polansky, ero curiosa di far compiere a Sophie un viaggio
attraverso la paranoia e di giocare con al sua insicurezza,
in un ambiente domestico molto normale e almeno all’apparenza
affascinante.”
Così la sceneggiatrice/regista Ann Turner ci introduce
tra le righe di Le verità negate, che segna il suo
ritorno al cinema dopo il fulminante esordio nel 1989 con
Celia che la portò a vincere
il Festival di Berlino ed il successivo ed inedito in Italia
Turtle Beach ispirato all’omonimo
romanzo di Blanche D’Alpuget.
Ma nonostante le buone intenzioni ed un cast sulla carta pesante
con Susan Sarandon ed il redivivo, ma visti i risultati dovremmo
dire citando gli acchiappafantasmi di Ivan Reitman, redimorto
Sam Neill, la pellicola non si discosta da schemi stanchi
e ripetitivi incentrati sul tema della casa violata e famiglia
minacciata.
Caratteri opachi, recitazioni approssimative, non aiutate
da un doppiaggio francamente all’altezza di una seconda
serata televisiva, fanno di questo Le verità negate
il classico prodotto di fine stagione, il segno dell’inizio
dei saldi cinematografici.
Zero tensione, zero originalità di trattazione, siamo
nel campo della solita psicopatica che si costruisce una vita
di plastica per riempirla in seguito della carne, del sangue
di vite altrui. La stessa messa in scena, svogliata ed incolore,
non incoraggia approfondimenti psicologici di nessun tipo
e lo stesso trattamento dei personaggi è un ostacolo
ad ogni forma di affezione nei loro confronti, tanto che alla
fine non si può provare che una naturale simpatia o
se volete spirito di solidarietà nei confronti della
cattiva di turno. [fabio melandri]
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