Tratto
dal romanzo del francese Hoellebecq, Le
particelle elementari tratta del degrado della società
postmoderna attraverso le vicende di due fratellastri; Bruno
(Moritz Bleibtreu) insegnante ossessionato dal sesso e Michael
(Christian Ulmen) brillante genetista con una conoscenza sessuale
ferma all’adolescenza. “In una società
completamente liberale ci sono quelli che vivono il sesso
nella dimensione dell’avventura…tutti gli altri
sono destinati alla solitudine”. Il romanzo, quindi
il film, spinge al parossismo due differenti archetipi di
uomo: l’idealista innamorato di una visione angelicata
della donna e l’instintivo che sopisce il desiderio
con la frenetica attività sessuale: entrambi sono impossibilitati
ad amare. La situazione si ribalta forzosamente quando Michael
ritrova Annabelle (Franka Potente), l’amore platonico
dell’adolescenza, ormai donna corrotta dalla vita e
disillusa da un matrimonio naufragato nell’odio, e Bruno
incontra in un ridicolo campeggio hippie, Cristiane, donna
modellata a sua immagine e somiglianza. La parabola amorosa
è tuttavia destinata fatalisticamente alla tragedia,
il cancro (malattia assunta a simbolo del malessere della
società contemporanea) aggredisce le due donne infrangendo
le loro relazioni amorose. Annabelle, uscita sana e salva
dalla convalescenza tornerà tra le braccia del timido
Michael, mentre Christiane costretta su una carrozzina, si
toglierà la vita, facendo piombare Bruno in uno stato
catatonico.
Nonostante la buona prova del cast (Bleibtreu miglior attore
al festival di Berlino), è la materia stessa di cui
è impastato il film a non convincere. La riflessione
sul degrado morale e sull’incertezza dei valori del
nostro tempo usando il sesso come metro di valutazione, anziché
essere guidata da lucido cinismo, risulta terribilmente artificiosa
e falsata nei suoi aspetti più interessanti. Il ritratto
della madre, convinta hippie fino all’ultimo dei suoi
giorni (quando Bruno pronuncia frasi irripetibili al suo capezzale)
e responsabile dell’infelicità dei figli fa sorridere
anziché indignare. Il personaggio di Bruno subisce
un’involuzione che, privandolo di credibilità,
lo rende semplice comparsa dell’ambiente fetish che
frequenta, il tutto a detrimento dello spettacolo che degenera
a tratti in un film di serie B (vedi scena del campeggio).
“La verità è come una particella elementare,
non è ulteriormente suddivisibile”: quella
propinata da Hoellebecq e tradotta in film da Roehler invece
lo è, credetemi, eccome se lo è. [matteo
burioni]