Commedia
in tono grottesco-esistenzialista sulla contrapposizione biblica
bene/male.
In una isolata parrocchia di campagna, un violento neonazista
deve scontare un noioso soggiorno rieducativo assieme ad un
pakistano reo di qualche dozzina di rapine e ad un ex-campione
di tennis fallito e alcolizzato. Adam (il nazista) incarna
il male nella sua manifestazione più abbietta, con
l’aria spavalda e la convinzione assoluta che chi nasce
malvagio non potrà mai cambiare, affronta a testa alta
il giovane reverendo Ivan, un bonaccione idealista che vive
quotidianamente all’insegna del “porgi l’altra
guancia”. Il film, magistralmente diretto da Anders
Thomas Jensen (Mifune, The
King is Alive) sfugge alle regole del Dogma, e guarda
piuttosto in direzione del grande maestro del cinema danese:
Karl Theodor Dreyer.
L’uso enfatico del grandangolo in relazione alla parrocchia
e all’albero di mele (ai fini rieducativi Adam deve
preparare una torta di mele), certe atmosfere apocalittiche,
ed il messaggio filmico stesso, spiazzatamente esegetico,
ricordano La Passione di Giovanna d’Arco
e Dies Irae. Il rapporto tra
i due protagonisti ruota attorno alla riflessione teoretica
sull’origine e la funzione del male: perché Dio
permette che il Male ammorbi la sua creatura, Male e Bene
sono separati o entrambi appartengono all’essenza divina?
Ivan (Mads Mikkelsen) vive la sua fede religiosa ignorando
il Male: il suo soggettivismo è lo schermo cognitivo
attraverso il quale riesce a proteggersi da una realtà
angosciosa e terribile (la giovane moglie morta suicida, il
figlio disabile). Adam, conosce in maniera istintiva prima
che razionale la crudeltà della vita, crudeltà
di cui Dio è responsabile o testimone indifferente
(non a caso la Bibbia si apre ripetutamente sul libro di Giobbe).
Le mele di Adamo, alternando
sublimi momenti comici a squarci di gratuita violenza, cela
nella sua trama interrogativi escatologici su di cui eminenti
filosofi si sono scervellati; tutto questo facendo vivere
allo spettatore il processo di formazione e trasmissione reciproca
di verità tra Ivan e Adam. Tra l’illusione di
Don Chisciotte (Ivan) ed il disincanto del suo scudiero Sancho
Panza (Adam) prevale un giusto di mix reale consapevolezza
riguardo la vita, il futuro, la fede. Film consigliato ad
un pubblico ampio, perché leggibile su diversi piani.
Trionfatore al Noir in Festival di Courmayer 2006.
[matteo burioni]