La promessa dell'assassino
Eastern Promises
Regia
David Cronenberg
Sceneggiatura
Steve Knight
Fotografia
Peter Suschitzky
Montaggio
Ronald Sanders
Scenografia
Carol Spier
Costumi
Denise Cronenberg
Musica
Howard Shore
Interpreti
Naomi Watts, Viggo Mortensen, Armin Mueller - Stahl, Sinead Cusack,
Jerzy Skolimowski, Josef Altin, Vincent Cassel
Produzione
Paul Webster, Robert Lantos - Serendipity Point Films, BBC Films,
Focus Features, Kudos Film and Television, Scion Films Limited
Anno
2007
Nazione
UK, Canada, USA
Genere
thriller
Durata
100'
Distribuzione
Eagle Pictures
Uscita
14-12-2007
Giudizio
Media

“Come faccio a diventare Re, se il re continua a sedere al suo posto?”
Nikolai Luhzin

Uno dei temi dominanti del cinema di David Cronenberg è l’esplorazione del terrore dell’uomo di fronte alla mutazione del corpo, all'infezione e contaminazione della carne, al triplice rapporto macchina-sesso-morte. Nei suoi film l'elemento psicologico è fortemente intrecciato con quello fisico. Dal body horror delle sue prime esperienze cinematografiche (Il demone sotto la pelle, Rabid sete di sangue, Videodrome, La mosca) sino alle più recenti (A History of Violence), il regista canadese si è sempre imposto come un chirurgo che con un bisturi affilatissimo, leggi la macchina da presa, penetra nel corpo dei suoi personaggi per portare alla luce i gangli tumorali che si annidano al suo interno, manifestazioni di turbe psicologiche che attanagliano gli stessi e cause di quei mondi altri in cui Cronenberg è solito trasportarci. Altro elemento comune nei suoi film è il tema della violenza, mai gratuita ma finalizzata a manifestazione esteriore di quanto appena affermato. Una violenza su cui il regista ha indagato per risalirne alle radici antropologiche in A History of Violence, di cui questo La promessa dell’assassino è la sua logica conseguenza, grazie alla presenza di Viggo Mortensen e di tematiche come l’identità, l’analisi della struttura familiare tradizionale, il senso del pericolo e i dilemmi morali. Cronenberg considera il film finito come “un thriller sulla mafia intrecciato a drammi familiari, all’interno di una cornice in cui una subcultura coabita all’interno di un’altra cultura molto forte”.
Il misterioso e carismatico russo Nikolai Luzhin (Mr. Mortensen), è l’autista di una delle famiglie esteuropee più famigerate di Londra, che fa parte della fratellanza criminale nota come “Vory V Zakone”. La famiglia è capeggiata da Semyon (Armin Mueller-Stahl), l’impeccabile proprietario dell’elegante ristorante transiberiano, la cui cortesia nasconde in realtà una natura fredda e brutale; le sue fortune sono amministrate dal figlio Kirill Vincent Cassel), un uomo capriccioso e instabile, che è in realtà più legato a Nikolai che non al suo vero padre.
La vita di Nikolai, da lui condotta con estrema prudenza, viene scossa quando, il giorno di Natale, incontra per caso Anna Khitrova (Naomi Watts), un’ostetrica di un ospedale a nord di Londra. Anna è molto turbata dalla tragica vicenda di una adolescente morta dando alla luce il suo bambino, e intende rintracciare la famiglia d’origine della ragazza affinché si prenda cura del piccolo orfano. Il diario personale della ragazza, scritto in russo, potrebbe aiutare Anna nella sua ricerca della verità.
La madre di Anna, Helen (Sinéad Cusack) non la scoraggia, mentre l’irascibile zio russo Stepan (Jerzy Skolimowski) le raccomanda prudenza, e ha ben ragione di farlo: frugando nel passato della ragazza, Anna scatena involontariamente la furia dei Vory.
Mentre Semyon e Kirill serrano i ranghi e Anna continua con le sue indagini, Nikolai prova, per la prima volta, sentimenti contrastanti. La famiglia stringe la morsa intorno a lui: di chi può, di chi deve fidarsi? Molte sono le vite in gioco – compresa la sua – in una spirale di crescente violenza, in cui delitti efferati, inganni e vendette si consumano nei meandri del suo ambiente e della città stessa.
Cronenberg costruisce un dramma intenso, essenziale nella messa in scena e nei dialoghi, definendo personaggi che assurgono a dimensione di eroi tragici, coscienti del loro tragico ed ineluttabile destino a cui è impossibile sottrarsi. Un senso di decandenza ed al contempo dignità permea ogni azione degli attanti, che corrono sul filo di una ambiguità che il regista non aiuta a chiarire ma anzi la alimenta sequenza dopo sequenza come un gatto – il regista – che gioca con i suoi topolini – il pubblico.
Una sorta di Quei bravi ragazzi depauperati di ogni eccesso estetico e magniloquente. Dove Scorsese visivamente abbonda, carica, riempie, Cronenberg asciuga, depotenzia, sintetizza, raggiungendo per altre vie il medesimo risultato di un dramma familiare – nel duplice contesto di famiglia di sangue e famiglia mafiosa – dai contorni shakespeariani. Un Macbeth ambientato a Londra tra la mafia russa, in particolare i Vory V Zakone comprendenti russi e georgiani, Azerbaijani, Uzbechi, Ucraini, Kazaki, Abkhaziani.
I Vory sono nati organicamente in Russia durante il Grande Terrore degli anni ‘30, quando Josef Stalin e i suoi scagnozzi epurarono il Partito Bolscevica dai “nemici del popolo”, mandandone milioni nei Gulag, i campi di lavoro forzato in Siberia. Proprio in questi campi sono nati i primi Vory, e il codice che detta legge fra i gangster russi. Un codice che impone la massima sottomissione alle leggi della vita criminale, compreso l’obbligo di sostenere l’ideale criminale, il rifiuto del lavoro e delle attività politiche”. Hanno anche creato i propri tribunali per giudicare le violazioni del codice e le dispute interne. La pena per la violazione del codice è, in molti casi, la mutilazione o addirittura la morte.
Hanno rinforzato i loro ranghi negli anni ’70, durante il governo di Leonid Brezhnev, nel periodo in cui l’economia sovietica iniziava a stagnare e il mercato nero dei beni di lusso prosperava. Con la caduta dell’Unione Sovietica, i Vory hanno ulteriormente consolidato il loro potere in Russia, espandendosi intorno al globo, in particolare in Europa occidentale e negli Stati Uniti.
Oggi molti Vory vivono lontano dal loro paese di origine. Secondo le stime, sono distribuiti in diverse decine di paesi, e contano migliaia di membri. Il loro rigido codice e le regole di comportamento sono ancora in vigore. L’aristocrazia criminale dei Vory continua a controllare un sistema di reclutamento, che come 70 anni fa, si concentra nelle prigioni.
“I criminali rinchiusi nelle carceri russe dicono che il tatuaggio rappresenta la vita”, spiega Cronenberg. “I tatuaggi sul corpo mostrano la propria identità, se entri senza tatuaggio non esisti. Devono essere accurati, perché raccontano quali crimini hai commesso, quanta prigione hai fatto, qual è il tuo orientamento sessuale. Se hai un tatuaggio che mostra una finta superiorità nei ranghi criminali, vieni seriamente punito, se non ucciso. Si dice che i tatuaggi siano un passaporto, il passaporto di un paese molto oscuro; la vita criminale russa è un mondo piuttosto piccolo. Quindi i tatuaggi determinano il proprio destino, e sono il passaporto privato del proprio mondo privato”.
Un Cronenberg maturo, perfetto, essenziale, equilibrato che ti entra dentro, ti penetra nel profondo grazie ai suoi personaggi di cui è sin troppo facile innamorarsi - tutti indistintamente buoni e cattivi – all’interno di un impianto narrativo che sembra aprirsi e chiudersi all’interno di un flusso di vite reali, di cui il regista sembra volerci/poterci raccontare solo una piccola parte, ma che continuano a svilupparsi anche al di fuori della sala cinematografica… Vite che sono bigger than life!
[fabio melandri]