“Qualsiasi
riferimento a personaggi reali è, diciamo, fortuito…”
Con questa didascalia in apertura Claude Chabrol manifesta
la sua dichiarazione di intenti. Nessun riferimento a persone
e situazioni reali ma rappresentazione di un universo e personaggi
verosimili.
Jeanne Charmant Killmann, pubblico ministero, viene incaricata
di indagare su un complesso caso di concussione e appropriazione
indebita di fondi in cui è coinvolto il Presidente
di un importante gruppo industriale. Con il progredire delle
indagini e degli interrogatori, il giudice si rende conto
di quanto potere sia nelle proprie mani e di quanto più
vada avanti più ne resti impigliata. Nessuno è
esente da questa malattia: tutti i personaggi in campo sono
ebbri di potere. La sua perdita, lenta e inesorabile quanto
repentina ed improvvisa,
Al contempo la sua vita privata inizia a mostrare crepe sempre
più profonde ed inarrestabili.
Il pubblico ministero interpretato da Isabelle Huppert richiama
alla mente l’ex pm di casa nostra Antonio Di Petro,
nella perseverata, ostinata, maniacale e ossessiva persecuzione
del reato; un esercizio di potere “assoluto” che
lentamente va ad inquinare la sua sfera privata con il lento
abbandono da parte di amici prima e marito poi.
Il regista francese imbastisce un melodramma sul potere, un
gioco di ruoli in cui tutti alla fine risultano vittime di
qualcuno e carnefici di qualcun altro. Un opera che punta
più ad un’analisi comportamentale che non psicologica
dei personaggi, riducendo al minimo l’azione vera e
propria (le indagini) per concentrarsi su corpi - la messa
in scena come disposizione di corpi nello spazio è
un vero trattato di prossemica – e dialoghi sin troppo
ridondanti. [fabio melandri]